[b]Le analisi di Guido Olimpio e Maurizio Molinari e la cronaca di Paolo Valentino

Testata:La Stampa – Corriere della Sera
Autore: Paolo Valentino – Guido Olimpio – Maurizio Molinari
Titolo: «L'Iran può già costruire l'atomica – Così Intesa violava l'embargo all'Iran – I generali frenano. Dialogo pericoloso»

Fonte: Informazione Corretta

L'Iran è in grado di costruire una bomba atomica. Lo sostiene anche l'ammiragio Michael Mullen, il più alto ufficiale delle forze armate Usa.Di seguito la cronaca di Paolo Valentino e l'analisi di Guido Olimpio a pag. 14-15 del CORRIERE della SERA di oggi, 02/03/2009, e dalla STAMPA l'analisi di Maurizio Molinari sulle violazioni commesse dalla banca Intesa Sanpaolo nell’eseguire pagamenti per conto di entità iraniane, siriane e libiche (pag. 12).
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Ecco gli articoli:

[b]CORRIERE della SERA – Paolo Valentino : " L'Iran può già costruire l'atomica"[/b]

WASHINGTON — Questa volta la conferma viene dai vertici militari americani.
L'Iran è in possesso di una quantità di uranio sufficiente a costruire almeno una bomba atomica. Lo ha ammesso ieri mattina, in un'intervista alla Cnn, l'ammiraglio Michael Mullen, il più alto ufficiale delle forze armate Usa. «Francamente, pensiamo che ce l'abbiano », ha detto Mullen, rispondendo alla domanda se gli iraniani abbiano già a disposizione la quantità critica di materiale fissile per fabbricare un ordigno nucleare. «E come penso da lungo tempo — ha aggiunto — Teheran con la bomba è un esito molto negativo per la regione e per il mondo».
È la prima volta che gli Stati Uniti ammettano la circostanza in modo esplicito e a così alto livello. Mentre più volte in passato americani ed alleati europei hanno espresso serie preoccupazioni che l'Iran fosse vicino a superare il teorico punto di non ritorno nell'acquisizione di una capacità nucleare, non c'è dubbio che Mullen si sia spinto un passo in avanti.
Le sue dichiarazioni seguono di qualche giorno il rapporto dell'Aiea, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, che ha valutato in poco più di 1 tonnellata l'uranio a basso grado di arricchimento già prodotto dagli iraniani nella centrale di Natanz.
L'Aiea ha riconosciuto di aver in precedenza sottostimato di un terzo la quantità di materiale fissile nelle mani degli aytollah. La svista ha fatto sorgere nuovi dubbi sulla validità delle stime e sulla reale possibilità per gli ispettori dell'Onu di mettere in atto un monitoraggio efficace e tempestivo delle attività nucleari dell'Iran.
«Una tonnellata è sufficiente per avere la capacità di produrre almeno un'arma nucleare », ha detto alla France Press David Albright, dell'Istituto per la scienza e la sicurezza internazionale di Washington. Tuttavia, la fabbricazione di una bomba atomica comporta ancora un passaggio, cioè l'ulteriore arricchimento del combustibile. E non è chiaro se l'ammiraglio Mullen abbia di fatto confermato il rapporto dell'Aiea, oppure se abbia voluto dire che l'uranio in possesso di Teheran sia già stato arricchito, cioè pronto per essere impiegato nella produzione di un ordigno.
Probabilmente è vera la prima. Anche perché nelle stesse ore, parlando in un talk-show domenicale della Nbc, il capo del Pentagono, Robert Gates, ha usato espressioni molto più caute. «La nostra continua attenzione è su come spingere gli iraniani a porre fine al programma nucleare. Al momento non sono vicini ad avere un'arma o un arsenale».
Nel discorso in cui ha annunciato il ritiro dall'Iraq, il presidente Obama ha nuovamente ribadito di volersi impegnare in una partita diplomatica con Teheran, definendo il suo programma atomico un «problema urgente» che la comunità internazionale deve affrontare.

[b]La STAMPA – Maurizio Molinari : " Così Intesa violava l'embargo all'Iran "[/b]

«Grazie per la vostra straordinaria assistenza nelle indagini su Intesa Sanpaolo, ci ha consentito di determinare l’estensione delle violazioni commesse dalla banca nell’eseguire pagamenti per conto di entità iraniane, siriane e libiche». È il 3 aprile 2008 quando Adam Kaufmann, capo della divisione investigativa centrale del procuratore distrettuale di New York, scrive ad Alfredo Robledo, sostituto procuratore di Milano, con il quale sta collaborando nel tentativo di identificare i percorsi del flusso di denaro iraniano che attraversa il sistema finanziario italiano. Robert Morgenthau, procuratore distretturale, vuole far applicare le leggi federali e dello Stato di New York che, in coincidenza con le sanzioni Onu, puntano ad impedire a Teheran di sfruttare la rete finanziaria Usa per sovvenzionare i programmi di riarmi missilistico e di proliferazione nucleare acquistando materiali di tecnologia civile che possono essere adoperati anche a fini militari. Se Kaufmann e Robledo collaborano è perché banche italiane presenti sul territorio di New York sono sospettate di violare le suddette leggi, pur senza incorrere in reati nel nostro Paese. Nella stessa lettera del 3 aprile Kaufmann fa sapere che informerà le autorità di regolamentazione bancaria di New York sulle violazioni commesse da Banca Intesa e che «non ha obiezioni» a che Robledo faccia lo stesso con i corrispettivi enti italiani. Le ultime righe della missiva sono molto calorose. «La prego di far pervenire ai procuratori, ufficiali di polizia, investigatori ed agli altri membri dello staff che hanno lavorato così duramente tutto il nostro apprezzamento e ringraziamento» conclude Kaufmann, che da New York guida il team delle indagini in tandem con il Dipartimento di Giustizia a Washington.
Tali espressioni si spiegano con l’importanza che ha per l’ufficio di Morgenthau quanto hanno trovato gli uomini del nucleo di polizia tributaria di Milano nella perquisizione eseguita il giorno prima, 2 aprile, negli uffici di Intesa Sanpaolo in Piazza della Scala. Il blitz è avvenuto sulla base di un decreto di perquisizione e ispezione nei sistemi informativi e le prove rinvenute, a seguito dell’esame dei documenti trovati, consentono agli inquirenti italiani di provare i sospetti dei colleghi americani. «Le ipotesi avanzate per rogatoria internazionale dal ministero della Giustizia Usa erano fondate» recita la relazione che sarà poi formalizzata il 6 maggio, tenendo conto anche degli interrogatori avvenuti e delle prove raccolte dopo il 2 aprile. In particolare «è stata trovata prova del fatto che Intesa Sanpaolo si è adoperata perché su alcune operazioni finanziarie internazionali non risultasse formalmente il nome di banche con sede in Paesi sottoposti a sanzioni Usa, facendo passare tali operazioni come normali transazioni interbancarie». In concreto significa che sui documenti relativi alle transazioni le intestazioni su provenienze da Iran, Siria e Libia erano state cancellate con codici di copertura. Da qui la conclusione che «gli accertamenti svolti dalle autorità italiane hanno provato effettivamente che Intesa Sanpaolo ha inviato swift di evidenza fondi verso la sua filiale di New York senza che venisse menzionato il nome del beneficiario ordinante del bonifico».
Si tratta di una violazione delle leggi federali e di New York che l’ufficio di Morgenthau individua anche a carico della banca britannica Lloyds TSB, la cui filiale di Manhattan patteggia a metà gennaio il pagamento di una multa di 350 milioni di dollari che le consente di continuare ad operare. I banchieri britannici confessano di aver gestito il passaggio di 300 milioni di dollari iraniani e 20 milioni di dollari sudanesi «verso banche americane» alterando a posteriori la relativa documentazione. Morgenthau accerta che la banca inglese ha consentito transazioni che hanno permesso a Teheran di acquistare centrifughe nucleari e 30 mila tonnellate di tungsteno, un materiale che può anche servire a costruire missili. Ciò che il nucleo di polizia tributaria di Milano accerta è che iraniani, siriani e libici hanno adoperato anche la banca italiana: «È stato accertato che erano le stesse banche sotto embargo a chiedere a Intesa-San Paolo che non comparisse il proprio nome nell’esecuzione di ordini di trasferimento in valuta americana». In sostanza le banche dei Paesi colpiti da sanzioni hanno sfruttato Banca Intesa-San Paolo, al pari di Lloyds TSB, per fare versamenti negli Stati Uniti ad altre banche dalle quali poi questi fondi potrebbero essere stati usati per acquistare armamenti proibiti.
Morgenthau ritiene che la filiale di Lloyds abbia gestito il passaggio di «miliardi di dollari» e le indagini co-gestite con il Dipartimento di Giustizia puntano ad appurare le responsabilità di altri grandi gruppi europei, tra cui Barclays, Credit Suisse e Deutsche Bank. Dan Castelman, braccio destro di Morgenthau, guida un’indagine che coinvolge almeno dieci banche «situate in Europa Occidentale, Orientale e in Estremo Oriente» con «possibili contatti con l’Iran». Fra queste c’è anche Intesa Sanpaolo.
Se simili responsabilità dovessero essere accertate anche le penalità sarebbero identiche, con il bivio fra pagare multe molto pesanti o essere obbligati a chiudere la filiale di Manhattan. A conferma che quella avvenuta è stata un’operazione finanziaria dalle molteplici diramazioni gli inquirenti italiani hanno appurato che pratiche simili sono avvenute anche da parte di altri istituti di credito del nostro Paese.
Alla richiesta di commentare la collaborazione bilaterale la portavoce di Mortgenthau, Alicia Greene, ha detto di «non poterlo fare» trattandosi di un’indagine aperta. Significa che resta ancora molto da appurare sul coinvolgimento di banche italiane nelle transazioni illecite avvenute a New York. Da Milano Intesa Sanpaolo conferma comunque «piena collaborazione». «Sin dall’inizio abbiamo dato piena collaborazione all’inchiesta congiunta del Dipartimento di Giustizia e del procuratore distrettuale di New York sulle transazioni avvenute con entità iraniane o di altri Paesi oggetto di sanzioni americane» recita una nota della banca. Da quanto trapela da ambienti al corrente delle indagini Intesa Sanpaolo ha ammesso l’uso di codici di copertura «per motivi di privacy» e la collaborazione con Morgenthau riguarda l’accertamento di centinaia di migliaia di transazioni, il 90% delle quali inferiori a 100 mila dollari, per verificare se vi siano stati degli «abusi». I codici di copertura sui quali gli inquirenti concentrano l’attenzione riguardano le triangolazioni con enti americani originatesi da istituti iraniani e poiché fra i clienti della banca italiana c’è l’Eni, che ha una forte presenza in Iran, non si può escludere che le indagini di Morgenthau puntino anche ad accertare i movimenti finanziari del colosso energetico negli Usa. Se nei confronti di Intesa Sanpaolo non sono finora scattate le sanzioni che hanno colpito Lloyds è perché in quest’ultimo caso gli investigatori americani hanno accertato la pratica dell’alterazione a posteriori di documenti finanziari.
A confermare la necessità per Morgenthau di seguire la pista italiana ci sono anche le dichiarazioni rilasciate il 21 dicembre all’agenzia Fars News da Hassan Ali Qanbari, direttore esecutivo della Bank Sepah iraniana colpita dalle sanzioni Onu e Usa, in merito alla «ripresa delle attività nella sede di Roma». Il governo Usa impedisce ogni transazione con Bank Sepah dal gennaio 2007, la Banca d’Italia applicò analoghe sanzioni dal 30 marzo seguente ma ora la ripresa dell’attività dell’istituto lascia supporre nuovi traffici finanziari. «Sepah» in persiano significa «esercito» e Washington ritiene che le sue filiali vengano adoperate per finanziare i programmi proibiti. La sovrapposizione fra le perduranti indagini sulle banche italiane e le attività di Sepah Bank tengono banco nei rapporti fra Washington e Roma nel momento in cui il nostro Paese è impegnato a compiere un’apertura diplomatica verso Teheran. Anche perché l’uomo al quale Barack Obama ha affidato il portafoglio di sottosegretario al Tesoro per l’antiterrorismo e l’intelligence finanziaria è lo stesso mastino che aveva tale compito durante l’amministrazione Bush: Stuart Levey.

[b]CORRIERE della SERA – Guido Olimpio: " I generali frenano. Dialogo pericoloso"[/b]

WASHINGTON — Le parole dell'ammiraglio Michael Mullen — l'Iran ha sufficiente materiale fissile per costruire la Bomba — hanno il valore di un appello alla prudenza rivolto a Barack Obama. E il peso dell'intervento di Mullen è ancora più significativo perché appare in contrasto con il parere del suo superiore, il segretario alla Difesa Gates per il quale l'atomica sciita è ancora lontana.
Mullen pare sposare la tesi pessimista di alcuni esperti per i quali Teheran è davvero vicino all'atomica e indicano come data la fine del 2010. A giudizio di questi ultimi i 1010 chilogrammi di uranio debolmente arricchito in possesso dell'Iran sono sufficienti, se successivamente trattati con un processo particolare, per realizzare l'ordigno.
L'Aiea e l'Istituto di Studi strategici ritengono, invece, che siano necessari almeno altri due elementi: maggiore quantità di uranio debolmente arricchito (1700 kg) e una catena di produzione complessa dove gli iraniani potrebbero incontrare problemi. Per arrivare a questo «stadio» dovrebbero cacciare gli ispettori internazionali. Quindi — aggiungono — vi sarebbe tempo per scoprire la violazione e reagire.
Chi non si fida ribatte usando quattro argomenti: il dialogo verrà usato dai mullah per guadagnare tempo; gli ultimi anni segnati da sanzioni e pressioni non hanno fermato il programma; il punto di non ritorno è ormai vicino; gli eredi di Khomeini mai rinunceranno al loro sogno atomico.
E' probabile dunque che gli alti gradi, pur senza indossare le piume dei falchi, vogliano ribadire alla Casa Bianca di offrire la carota ma tenere pronto il bastone delle sanzioni. Nel lungo termine c'è la bomba atomica iraniana, ma nel breve il Pentagono deve pensare al parziale ritiro dall'Iraq e sa che Teheran, se vuole, potrebbe rendere le cose ancora più difficili.

 

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