[b]14.03.2009, Corriere della Sera

Fonte: Fondazione Giorgio Perlasca [/b]

Due serie di foto segnaletiche: la prima è del 1940, l'uomo indossa l'uniforme a strisce dei detenuti nei lager nazisti; la seconda serie è del 1947, scattata dalla polizia segreta del regime comunista di Varsavia. Il prigioniero è lo stesso: il capitano di cavalleria Witold Pilecki.
L'ufficiale si era offerto volontario per una missione all'inferno: si fece catturare dai tedeschi sapendo che sarebbe stato rinchiuso ad Auschwitz, per raccogliere informazioni su quello che succedeva all'interno del campo di concentramento.

Il Konzentrationslager presso la cittadina polacca di Oswiecim (in tedesco Auschwitz) era stato costruito dai nazisti nell'estate del 1940 e all'inizio i detenuti erano polacchi e soldati russi. La resistenza aveva bisogno di notizie. Pilecki preparò il piano: aspettò che la Gestapo mettesse in atto uno dei ricorrenti rastrellamenti a Varsavia, si mise in tasca un documento di identità falsificato a nome dell'operaio «Tomasz Serafinski» e si lasciò arrestare con altri duemila civili. Era la mattina del 19 settembre 1940, due giorni dopo si ritrovò ad Auschwitz. Il campo non era ancora organizzato per lo sterminio sistematico, ma i detenuti venivano decimati già all'arrivo. All'internato sotto il nome di Serafinski fu tatuato sul braccio il numero 4859. Il capitano Pilecki cominciò ad organizzare militarmente un gruppo di resistenti. E cominciò anche a scrivere messaggi per il comando dell'Esercito clandestino polacco.
Il suo rapporto comincia così: «Mi è stato ordinato di descrivere i semplici fatti, senza commenti. Ci proverò, ma non siamo di legno, nè di pietra e debbo confessare che stando qui dentro qualche volta mi è sembrato che anche la pietra possa sudare…».
Con il passare dei mesi Auschwitz fu allargato su una superficie di 40 chilometri quadrati e trasformato nel centro del progetto di annientamento degli ebrei, al servizio della Soluzione Finale. La resistenza a Varsavia ricevette un altro rapporto da Pilecki fatto filtrare attraverso i reticolati: «La gigantesca macchina del campo che vomita cadaveri ha portato via molti dei miei amici… Abbiamo inviato messaggi al mondo esterno, alcuni sono stati trasmessi da stazioni radio straniere. Adesso le guardie del campo sono furiose».
Nel 1942 il gruppo del capitano si assicurò che le informazioni sullo sterminio degli ebrei arrivassero a Londra e Washington, cominciò ad invocare che gli aerei alleati bombardassero le installazioni di Auschwitz e la linea ferroviaria che alimentava il trasporto dei deportati, o che organizzassero un lancio di paracadutisti della Brigata polacca per liberarlo.
Non successe niente. Solo orrore quotidiano. A quel punto il capitano Pilecki decise di tentare la fuga: la notte del 26 aprile 1943 riuscì ad evadere. Arrivato a Varsavia riprese il suo posto nell'Esercito clandestino, partecipò alla Rivolta del 1944. Poi andò in Italia, con le forze polacche del generale Anders. Finita la guerra con i nazisti l'Europa fu spaccata dalla Cortina di Ferro. Pilecki fu inviato a Varsavia: di nuovo in missione clandestina, per raccogliere informazioni sui gulag sovietici e la repressione comunista. Lo arrestarono. E (secondo nuovi documenti pubblicati dal Times) l'uomo che era entrato volontariamente nell'inferno e aveva documentato lo sterminio degli ebrei, scoprì che l'agente della polizia segreta comunista che lo stava torturando era un ebreo. Potè incontrare un'ultima volta la moglie e le disse che Auschwitz per lui era stata meno atroce di quello che stava passando nel carcere del regime a Varsavia.
Witold Pilecki fu condannato a morte per «crimini contro lo Stato e spionaggio agli ordini dell'imperialismo straniero». Il 25 maggio del 1948 gli spararono un colpo alla nuca nel sotterraneo del comando della polizia e lo gettarono in una fossa comune.
Poi, fino al 1989, il suo nome fu cancellato dalla storiografia ufficiale della Polonia. La vicenda del «volontario di Auschwitz», delle sue informazioni sull'Olocausto e dell'aiuto alleato che non arrivò ai disperati dei lager continua ad agitare gli storici britannici: perché Winston Churchill non ordinò l'azione? «Perché a nessuno importava di salvare gli ebrei», disse Chaim Weizmann, primo presidente di Israele. Sir Martin Gilbert, biografo di Churchill, sostiene invece che il leader inglese era sempre stato amico e sostenitore della causa ebraica e in realtà non seppe di Auschwitz fino al 1944.
Ora un gruppo di eurodeputati polacchi ha presentato una mozione a Bruxelles chiedendo che il 25 maggio, anniversario dell'uccisione del capitano, sia dichiarato «Giorno degli Eroi della Lotta contro il Totalitarismo ». Dagli archivi sono usciti nuovi documenti che nei decenni della Cortina di Ferro erano stati censurati e a Varsavia è stata organizzata una mostra in cui le foto segnaletiche del detenuto 4859 di Auschwitz sono affiancate a quelle dell'«agente imperialista» Witold Pilecki scattate dalla polizia segreta comunista.

 

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