VOCI DIVERSE DA ISRAELE
[b]Donne d'Israele 3 – Amira Haas
Una giornalista oltre il confine[/b]
“Sono abituata a essere considerata impopolare. Per me non è un problema. Molti israeliani mi considerano una traditrice, ma altri mi leggono con interesse e si sentono solidali con le opinioni che esprimoâ€. Amira Hass, prima e unica giornalista israeliana a vivere a Gaza e in Cisgiordania, ha uno stile diretto e pungente. Anche quando le domande entrano nel vivo della sua esperienza personale. Non teme per se stessa? le chiede l’intervistatore.
E lei, serafica, “sono abituataâ€: “credo che fare il giornalista significhi sorvegliare i centri di potere, osservare da vicino come vengono applicate le politiche dei governi e se rispettano nei fatti ciò che hanno promesso i governantiâ€.
A 53 anni Amira Hass è una delle voci più note e discusse dal Medio Oriente, conosciuta in Italia soprattutto per il suo diario sul settimanale Internazionale. Nata a Gerusalemme, figlia di due attivisti comunisti bosniaci sopravvissuti alla Shoah, scrittrice e giornalista di Ha’aretz, inizia le sue corrispondenze dai territori nel ’91. Due anni dopo si sposta nella Striscia di Gaza dove vive per un paio d’anni per approdare nel ’97 a Ramallah. Da qui racconta in presa diretta lo scoppio della seconda intifada.
La sua è una scelta controcorrente, vissuta con coraggio e grande semplicità . “Come giornalista – spiega – mi occupo di questioni palestinesi. Quindi sentivo che per fare bene il mio lavoro dovevo vivere lìâ€. Ma la decisione di varcare quel confine non risponde solo al senso profondo di un’etica professionale. E’ un’opzione civile e politica. “Io – dice – sono una donna di sinistra, figlia di ebrei russi e comunisti. Mia madre è scampata all’Olocausto e ritiene che l’occupazione straniera di un territorio sia sempre sbagliata. Sono, dunque, stata educata nel principio dell’eguaglianza, che è un principio dell’ebraismo, per questo ho deciso di vivere tra i palestinesiâ€.
“Abito a Ramallah – continua – ma sono una privilegiata: con l’auto raggiungo Tel Aviv in un’ora, mentre per un palestinese ci vogliono cinque o sei ore, quando va bene. Un altro enorme privilegio è avere l’acqua. Per i palestinesi c’è il razionamento e perfino il diametro dei tubi che la trasporta è molto più piccoloâ€.
Le sue cronache non risparmiano né gli israeliani né i palestinesi. Amira Hass narra la progressiva militarizzazione dell’intifada, l’affermarsi dei fondamentalismi, gli scontri tra i diversi gruppi armati, la corruzione della leadership palestinese. E poi l’inasprimento dell’occupazione, le violazioni dei diritti umani e la grande povertà che minaccia d’inghiottire i villaggi e dei campi palestinesi. Le sue critiche le attirano molti attacchi, anche da parte delle autorità d’ambo le parti.
Ma Amira evita toni da vittima o da prim’attrice. La sua scelta di vivere al di là della linea verde, sostiene, in Israele suscita in fondo “una sorta d’indifferenzaâ€: “gli israeliani non vogliono sapereâ€, “ai lettori israeliani non importa dei reportage accurati da Gaza. Da Gaza gli interessano solo le notizie su Shalitâ€. La voce sommessa di questa donna dal volto serio e intenso, incorniciato dagli immancabili occhiali, riesce però in questi anni a disegnare nel concreto la realtà quotidiana e dolorosa di due popoli così vicini e così lontani.
Nelle sue cronache s’intrecciano le vite d’amici e conoscenti: Abu Yussef rifugiatosi in Norvegia e Nir nato in un kibbutz, Muna e le amiche israeliane. E poi il thè alla menta dei pomeriggi sereni; gli ulivi nei campi palestinesi tagliati dagli israeliani (con “i rami amputati come se stessero implorando aiutoâ€); la costruzione della nuova superstrada israeliana e l’eterna attesa degli abitanti di Gaza (“Aspettare i pezzi di ricambio di elettrodomestici e automobili; aspettare elettricità , acqua e gas; aspettare che apra il varco di frontiera per portare fuori le fragole; aspettare che Israele autorizzi una spedizione umanitaria delle Nazioni Unite. Ormai i palestinesi non fanno altroâ€).
A marzo dello scorso anno, stanca e delusa da una situazione politica che sembra in stallo totale, Amira Hass sceglie di fermarsi e prende un’aspettativa dal suo giornale. “Una pausa quanto mai necessaria, dopo quindici anni di cronache sull'occupazione – spiega su Internazionale – A mettermi ko non è stata solo l'indubbia fatica di tanti anni di lavoro. La cosa peggiore è sempre stata il profondo divario tra la gravità di quello che scrivevo e la generale indifferenza dimostrata dal lettore israeliano medio. È logorante rendersi conto che le parole non cambiano nienteâ€.
Ma lo stacco dura molto poco. Qualche mese e le tensioni in Medio Oriente di nuovo salgono a livelli di guardia. Amira decide di tornare sul campo e di riannodare il filo del suo racconto. Riesce a raggiungere Gaza con una delle navi umanitarie che a novembre forzano il blocco. Alla fine del mese è espulsa, per “motivi di sicurezzaâ€. “Ad Hamas – commenta lei – non interessa dei lettori israelianiâ€. Addolorata per le tante storie che avrebbe voluto raccontare, Amira Hass però non molla. E riprende la sua cronaca, questa volta dal fronte doloroso di una guerra.
[b]Daniela Gross[/b]
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