La minaccia saudita: «America, con noi o sarà Jihad»
[b]Pezzo in lingua originale inglese: A Saudi Prince's Threat to the Obama Administration
di Daniel Pipes – Liberal – 28 gennaio 2009[/b]
Sua Altezza Reale il principe Turki al-Faisal è un intermediario saudita di rilievo.
Il principe saudita Turki al-Faisal minaccia il governo statunitense.
Nato nel 1945 alla Mecca, figlio del futuro re Faisal, la biografia ufficiale ci informa che Turki ha studiato presso la Ta'if Model Elementary and Intermediate School, alla Lawrenceville School e alla Georgetown University. La sua carriera è iniziata nel 1973 come consigliere della Corte Reale. Per circa venticinque anni, dal 1977 al 2001, è stato direttore generale del principale servizio di intelligence estero del Regno saudita, incarico che ha lasciato poco prima dell'11 settembre. Tra il 2002 e il 2007, ha rappresentato il suo governo come ambasciatore a Londra e a Washington. In pensione, è presidente del King Faisal Center for Research and Islamic Studies a Riad ed è co-presidente del C100 Group, un affiliato del Forum economico mondiale.
Queste credenziali servono a calibrare la portata dell'importante articolo pubblicato da Turki il 23 gennaio sul Financial Times e titolato "l'Arabia Saudita sta perdendo la pazienza". Nel pezzo egli inizia col rievocare i suoi decennali tentativi di promuovere la pace arabo-israeliana, con particolare riferimento al Piano Abdullah del 2002. "Ma dopo che Israele ha lanciato il suo sanguinoso attacco a Gaza", egli scrive "quegli appelli all'ottimismo e alla cooperazione adesso sembrano un lontano ricordo". Poi arriva una minaccia: "Se la nuova amministrazione statunitense non prenderà delle efficaci misure dirette ad evitare ulteriori sofferenze e carneficine dei palestinesi, il processo di pace, il rapporto tra gli americani e i sauditi e la stabilità della regione saranno a rischio".
Turki passa a colpire George W. Bush in un modo non proprio usuale per un ex-ambasciatore saudita: "Non solo l'amministrazione Bush ha lasciato uno sgradevole retaggio nella regione, ma ha altresì contribuito alla carneficina degli innocenti, tramite un'arrogante posizione assunta riguardo la mattanza di Gaza". Poi, arriva una nuova minaccia, riformulata in modo più diretto: "Se gli Stati Uniti volessero continuare ad avere un ruolo di leadership in Medio Oriente e mantenere intatte le proprie alleanze strategiche – specialmente lo ‘speciale rapporto' instaurato con l'Arabia Saudita – essi dovranno rivedere in maniera drastica le linee politiche verso Israele e la Palestina".
Per poi cominciare a dettare istruzioni alla nuova amministrazione circa il modus operandi da adottare:
condannare le atrocità commesse da Israele contro i palestinesi e appoggiare una risoluzione delle Nazioni Unite in tal senso; condannare le azioni israeliane che hanno portato a questo conflitto, dalla costruzione degli insediamenti in Cisgiordania al blocco di Gaza, agli omicidi mirati, agli arresti arbitrari dei palestinesi; dichiarare che l'America è intenzionata a lavorare per un Medio Oriente senza armi di distruzione di massa, con un ombrello di sicurezza per i paesi che firmino e sanzionando quelli che non lo faranno; chiedere un immediato ritiro delle forze israeliane dalle fattorie di Shab'ah in Libano; incoraggiare i negoziati di pace israelo-siriani; e appoggiare una risoluzione dell'ONU che garantisca l'integrità territoriale dell'Iraq. Barack Obama dovrebbe fortemente promuovere l'iniziativa di pace di Abdullah.
E non finisce qui: Turki osserva che Mahmoud Ahmadinejad ha chiesto alla "Arabia Saudita di guidare un jihad contro Israele che, se perseguito, genererebbe un caos e uno spargimento di sangue senza precedenti". E dice conciliante: "Finora, il regno ha ignorato questi appelli", ma poi reiterando per la terza volta la sua minaccia conclude: "ogni giorno questa posizione moderata diventa sempre più difficile da mantenere (…) Alla fine, il Regno non sarà in grado di impedire ai propri cittadini di unirsi alla rivolta mondiale contro Israele".
Questi gli antefatti: ma che si può fare davanti a tale straordinaria minaccia? Non molto.
(1) Come ben chiarisce il FT, l'articolo del principe richiama alla mente le lettere che re Abdullah, da principe ereditario, inviò nel 2001 a George W. Bush, avvisando che il regno avrebbe rivisto i rapporti con gli Stati Uniti, se l'amministrazione americana non avesse adottato un'efficace iniziativa per la pace in Medio Oriente. Le missive fecero suonare dei campanelli d'allarme a Washington, ma questi ultimi furono ben presto fatti passare in secondo piano dagli attacchi dell'11 settembre, che coinvolsero un gruppo di sauditi. I legami con gli Stati Uniti tornarono a migliorare solo dopo che Riad lanciò la propria campagna contro il terrorismo a distanza di due anni e iniziò a occuparsi delle originarie cause del radicalismo" In altre parole, la minaccia – date le condizioni – non è stata sperimentata.
(2) Nonostante tutti gli anni trascorsi all'apice dell'establishment saudita, nel 2006 Turki ha lasciato in modo ignominioso la sua ultima posizione ricoperta. Qui di seguito, un resoconto della sua uscita, nelle parole del Washington Post:
Il principe Turki al-Faisal, ambasciatore saudita negli Stati Uniti, a detta di funzionari americani e di rappresentanti stranieri, ieri è fuggito da Washington dopo aver informato il segretario di Stato Condoleezza Rice e il suo staff che avrebbe lasciato l'incarico dopo soli quindici mesi di attività (…) Turki, un ex-capo d'intelligence con anzianità di servizio, secondo diplomatici arabi, ieri pomeriggio ha detto ai membri del suo staff di voler trascorrere più tempo in famiglia. I colleghi si sono detti sorpresi della decisione. L'uscita è avvenuta senza fanfare, festeggiamenti e tributi che di norma accompagnano la partenza di un importante rappresentante, e men che meno senza una dichiarazione pubblica.
(3) Turki ha una lunga storia di radicalismo islamista e di impulsività nei confronti del conflitto arabo-israeliano. In un discorso pronunciato agli inizi del mese in occasione di un forum sui rapporti tra la regione del Golfo Persico e gli Stati Uniti, egli si è rivolto così a Obama:
L'amministrazione Bush le ha lasciato una vergognosa eredità e un'incauta posizione verso i massacri di Gaza. Adesso basta! Oggi siamo tutti palestinesi e cerchiamo il martirio in nome di Allah e della Palestina, seguendo coloro che sono morti a Gaza.
"Cercare il martirio?" Sa di rivoluzionario regime iraniano e non di tranquilla monarchia saudita.
(4) Le minacce di Turki potrebbero plausibilmente influenzare l'amministrazione Obama, ma i commenti del neo presidente circa le recenti ostilità di Gaza lasciano intendere che egli stia procedendo in una direzione decisamente differente, avendo stabilito tre condizioni che Hamas dovrà onorare prima di essere accettato come partner diplomatico (riconoscere il diritto di Israele a esistere; rinunciare alla violenza; e rispettare gli accordi precedenti). Nelle parole di un'analisi del Washington Post, finora, "Obama sembra uniformarsi alla linea seguita dall'amministrazione Bush".
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