[b]Una eccezionale scoperta archeologica

Testata: La Stampa
Data: 02 novembre 2008
Pagina: 12
Autore: Elena Loewenthal-Aldo Baquis
Titolo: «Parole che giungono intatte dall'eternita-In principio fu il "re". Così nacque l'ebraico»[/b]

[b]Elena Loewenthal – Parole che giungono intatte dall'eternità:[/b]

Le lingue sono un segno del tempo. Accompagnano la storia dell’uomo e mutano con essa. Eppure, leggendo quei quindici centimetri quadri di coccio, l’ebraico che vi è scritto sembra capace di azzerare il tempo, di sfidarlo con la sua strabiliante continuità. Perché se i caratteri incisi in quel reperto non sono ormai più quelli in uso, il suono e il senso delle parole che oggi affiorano da remote lontananze di quel passato, sono sempre gli stessi.

«Al ta’as» è un imperativo di negazione, una formula che ricorre all’infinito, dalla Bibbia in poi. A incominciare da quel «Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te» che si trova in Levitico 19,18 e che secondo la tradizione d’Israele racchiude tutto l’insegnamento etico e civile della Torah. «Shofet» e «shafat» sono termini calcati sulla radice ebraica che significa «giudicare», e anche loro sono parole senza tempo: prima di darsi un re – «melech» gli antichi israeliti furono governati dai «giudici». Anche «eved» è una parola carica di pregnanza, perché significa «schiavo» ma anche «colui che lavora». Non indica però una casta: anche i figli d’Israele, infatti, sono stati schiavi – avadim, il plurale – in Egitto, prima di diventare liberi e consapevoli della propria libertà.
L’ebraico è una lingua antichissima. Ha una grammatica primitiva. Tutto vi si costruisce sulla base di radici formate da tre consonanti, che a seconda delle vocali «applicate» diventano verbo, sostantivo, aggettivo. È una lingua talmente vecchia che nessun bambino di scuola elementare israeliana avrebbe la minima difficoltà nel comprendere le parole su quel pezzo di coccio. È tenace e incredibilmente resistente, malgrado la storia ai quattro angoli del mondo (come direbbe lei) abbia fatto di tutto per stravolgerla, quando non annientarla. È santa perché ha dato la luce alla Bibbia; quotidiana perché conosce la vita da tanti di quei millenni che quasi non si contano più. È donna, perché si chiama ivrit con la desinenza femminile. È una lingua straordinaria perché un coccio di millenni fa sembra scritto appena ieri.

Aldo Baquis – In principio fu il "re". Così nacque l'ebraico

Nella morbida e verdeggiante valle di Elah, dove secondo la Bibbia il pastore (e futuro monarca israelita) Davide affrontò il guerriero filisteo Golia, archeologi israeliani hanno scoperto di recente un reperto vecchio di tremila anni che hanno qualificato come «il testo ebraico più antico mai visto finora». L’evento è presto balzato dall’intimità rarefatta degli ambienti accademici ai grandi titoli dei quotidiani. La sensazione è che il coccio di 15 centimetri per 15 capitato alcune settimane fa fra le mani del professor Yosef Garfinkel della Università ebraica di Gerusalemme possa avere ripercussioni storiche: come i Rotoli del Mar Morto, un testo religioso di duemila anni fa.
Nel giugno scorso Garfinkel si era spinto nel Nord della valle di Elah, per studiare i resti di una fortezza di dimensioni ciclopiche, circondata da una muraglia lunga 700 metri con pietre altre fino a tre metri. Chi disponesse all’epoca delle capacità necessarie per trasportarle e sovrapporle, non è del tutto chiaro. Nel decimo secolo a.C. nella struttura erano comunque dislocati centinaia di guerrieri: forse israeliti, forse filistei, per la vicinanza con le rovine della storica città di Gath.
In questi casi gli archeologi cercano le ossa di animali: se si trovano resti di suini, si presume che la località sia filistea. In assenza di resti del genere, si reputa israelita. E suini, nella Fortezza Elah, non ce n’erano stati. Mentre le ricerche erano ancora in corso è apparso un coccio su cui erano evidenti caratteri proto-canaanei. Vicino c’erano noccioli di uliva. Due settimane fa un laboratorio di Oxford, che li ha sottoposti all’esame del carbonio 14, ha stabilito che quelle ulive furono gustate in una data compresa fra il 1050 e il 970 a.C. È l’epoca del regno di Davide.
«Dai caratteri proto-cannanei – nota il professor Garfinkel – si sono sviluppate numerose lingue: non solo l’ebraico, ma anche l’aramaico, la lingua fenicia, in certa misura anche il greco». Lo scriba di tremila anni fa aveva a disposizione un inchiostro composto di carbone misto a grassi animali. Con grande perizia, e con grande eleganza, aveva tracciato righe nere, orizzontali. Sopra le righe aveva scritto un testo che è adesso allo studio degli esperti di Gerusalemme, e che non hanno dubbi: quell’uomo scriveva i proto-canaaneo, ma parlava ebraico.
«Il testo – spiega Garfinkel – comincia con un divieto: Al-Ta’as…, non fare». Poi sono emerse altre parole: Eved (schiavo); Shofet (giudice) o Shafat (giudicò); poi Melech (re). Nei millenni le lettere sono sbiadite, il testo originale è divenuto pressoché invisibile. Ma Garfinkel non si è perso d’animo: per immergersi nel passato si è affidato alle tecniche spaziali. Un tecnico della Nasa, dotato di una macchina fotografica da 70 mila dollari, ha ripreso un frammento dell’ostrakon, il coccio, e da quelle sofisticate immagini sono riemersi tratti invisibili a occhio nudo. Adesso la Nasa provvederà a riprendere l’intero testo.
Tre anni fa un altro frammento di ceramica, trovato nella vicina Gath, emozionò gli studiosi che ebbero la persuasione di avere fra le mani il testo filisteo più antico mai recuperato. Anch’esso fu datato al decimo secolo a.C. e anch’esso era scritto con caratteri proto-canaanei. Ma in quel caso lo scriba si esprimeva in un linguaggio non semitico: probabilmente indo-europeo, forse vicino al greco. Furono identificate le lettere Alwt e Wlt. La ricerca sembrava giunta a un punto morto quando qualcuno lanciò la ipotesi che fossero la trascrizione di un nome filisteo del tempo: Alyattes. Una ipotesi è che gli israeliti lo abbiano trascritto in seguito in Goliath, ossia Golia.
Forse dunque ci fu davvero un Golia che si avventurò nella valle di Elah tremila anni fa. Ma anche Davide esistette davvero, oppure è solo un mito? L’archeologia cerca conferme. Nel 1993 a Tel Dan, in Alta Galilea, fu scoperta la lapide scritta in aramaico con cui Hazael re di Damasco si vantava di aver ucciso, nell’anno 835 a.C., 70 monarchi fra cui Ahazyahu figlio di Yehoram, re della dinastia di Davide. Dunque la dinastia di Davide era esistita davvero: oltre alla Bibbia lo confermava in prima persona, dalla notte dei tempi, anche il re di Damasco.

 

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