Prosegue fino al [b]22 ottobre [/b]alla [b]Biblioteca di Baggio[/b], Via Pistoia 10, Milano
la mostra collettiva [b]Tracing Words / Śladami Słów [/b]
alla quale [b]Tamar Matza [/b]ha contribuito dedicando le proprie opere alla memoria
della [b]presenza ebraica in Polonia[/b] e ritraendo con delicatezza e sensibilità
le parole incise nei frammenti delle lapidi cimiteriali.
Parole divenute segno di un addio senza ritorno, ma anche eterni messaggi d'amore verso la vita,
impresse per sempre nell'istante dell'incontro tra chi ha scritto e chi, ancora oggi, legge.
Questo è tutto quello che resta dei cimiteri ebraici polacchi,

La mostra, ad ingresso libero, è visitabile nei giorni di
lunedì, martedì, giovedì e venerdì dalle 9:00 alle 22:00
mercoledì dalle 14:00 alle 19:45
sabato dalle 9:00 alle 18.45

[b]Tamar Matza[/b], nata a Gerusalemme, vive e lavora tra Italia e Polonia.
Attraverso l'arte della fotografia, ella ha intrapreso un complesso lavoro
di ricerca nella terra d'origine della famiglia materna, la Polonia,
omaggio ad una terra trasformata in "un grande cimitero ebraico".

[i]Segue la presentazione firmata dall'artista.[/i]

"Questa mostra è nata dal mio desiderio di conoscere la vita che la mia famiglia, di parte materna, ha avuto in Polonia prima della seconda guerra mondiale. I miei primi viaggi in Polonia non si svolgevano intorno ai cimiteri, inizialmente cercavo quegli
spazi quotidiani e familiari come la panetteria, il ristorante preferito, il balcone su cui si passava il sabato pomeriggio. Le strade in cui vivevano le amiche di mia nonna ed i paesini in cui si passavano le vacanze, in una Polonia freddissima d’inverno e allegra d’estate. Sono arrivata in Polonia perché cercavo quella vita di cui non avevo mai sentito parlare.
Ci sono ancora troppi dolori e amarezze per poter parlare d'amore. Per poter dire amo questo Paese. Amo ancora.
[i]- “Raccontami qualcosa della Polonia”.
– “La Polonia? E' un cimitero. Un grande cimitero ebraico”.[/i]
Iniziavo a viaggiare in Polonia perché cercavo la vita, ed ho scoperto quanta vita si nasconde nei cimiteri. Cimiteri che spesso sono abbandonati, altre volte sono ricostruiti, restaurati, ma in tutti regna la memoria. La dolce memoria della Vita.
Quell’amore silenzioso, insieme alla lingua ebraica che io non parlavo più, li ho trovati nel luogo del silenzio.
Nei cimiteri ebraici della Polonia. In ciò che è rimasto dei secoli di vita ebraica in Polonia. Leggevo sulle lapidi, chi è vissuto ed è morto in Polonia – vissuto e morto con la dignità umana. La lingua nella quale sono nata e cresciuta e dalla quale mi sono allontanata, l’ho ritrovata paradossalmente nella passata Diaspora Ebraica.
Le parole rimaste, incise sulle lapidi, raccontano tacitamente la vita di persone che un tempo vivevano lì. Camminando tra frammenti di parole, dediche e citazioni dai sacri testi ebraici – nei cimiteri regnano dolcemente le parole.
Le persone non ci sono più, eppure ci sono – perché di loro sono rimaste le parole.
Parole e pietre e nulla di più, ed ogni lapide è un mondo intero. Nomi, parole e pietre, purché qualcosa rimanga. Affinché dopo di noi, qualcosa rimanga. Le persone non esistono ma tra le parole c'è vita ed amore e laddove regna il silenzio delle parole, regnano i racconti. Regna la vita.
Racconti di vite, di Uomini che nascevano, vivevano, crescevano, amavano, piangevano, ridevano e anche morivano. In questa terra chiamata Polonia. Le parole esistono perché possiamo sentire le persone anche quando non esistono più. Le
parole ci sono perché non tutto sparisca, e di quella vita raccontano le parole incise sulle lapidi.
[i]“Qui giace una donna importante e buona.”[/i]
Chi era quella donna così importante e buona?
Chi ha scritto di lei queste preziose parole:
[i]“Questa pietra è un segno in eterno di ciò che qui sotto è sepolto e non esiste più.”[/i]
A Pińczów, come in un giardino, di fronte alla sinagoga c’è un muro di parole. Un libro aperto sugli Ebrei in Polonia. Bisogna solo leggere. Buona. Modesta. Importante. Parole non buttate via, e di questi frammenti di lapidi si è costruito un muro.
Si è realizzato un racconto umano da parole e pietre. Frammenti d’amore in un cortile in Polonia.
Qualcuno è vissuto. Qualcuno è morto. Qualcuno ne ha scritto.
Qui a Cracovia, è da molto tempo che ci sono. Da quando la nonna cantava la ninnananna in polacco. Il polacco ancora non lo capivo, ma credo che sia allora che io ho visto la Polonia per la prima volta. Non capivo una parola ma ascoltavo e capivo che questa era ed è ancora la sua lingua, che vive nel suo cuore, e che quelle città esistono.
Perché alla fine, dopo tutti i dolori e le tristezze, dopo le terribili esperienze, rimane la cosa più vicina. Rimangono le parole."
(Tamar Matza, Cracovia 2006)

 

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