[b]Gli ayatollah sono per noi un ottimo partner economico, difficile rinunciare a concludere affari

Guido Olimpio
21 ottobre 2008[/b]

[b]WASHINGTON[/b] – La storia dell’addetto militare italiano che prima va alla parata a Teheran e poi – secondo la Farnesina – cerca di andarsene è la “fotografia”, in tutti sensi, delle nostre relazioni con l’Iran. Gli ayatollah sono per noi un ottimo partner economico, difficile rinunciare a concludere affari, arduo permettere ad altri paesi – nessuno è immacolato – di soffiarci contratti, specie in questa stagione di crisi.

Al tempo stesso Teheran ci interessa per il suo ruolo regionale in due teatri dove abbiamo soldati: in Libano sud può influenzare i suoi alleati Hezbollah; in Afghanistan può far sentire la sua parola nella comunità sciita di Herat. Lo abbiamo corteggiato con lo stesso fine quando avevamo il contingente nel sud dell’Iraq, altro punto di forza sciita. Approcci da realpolitik per evitare attentati. Ma le garanzie dei mullah si pagano. E non solo con l’interscambio. Teheran, che gonfia il petto però non ha mezzi militari adeguati, ci ha chiesto e chiede tecnologia.

Il suo primo satellite è made in Italy. I suoi servizi segreti hanno beneficiato in passato dell’assistenza dei nostri: materiale per le intercettazioni, probabilmente informazioni sugli esuli in Italia. Abbiamo chiuso gli occhi quando hanno voluto motoscafi veloci per i pasdaran. Forse abbiamo fatto lo stesso quando i guardiani cercavano mini-sottomarini e mezzi subacquei speciali (come la versione moderna dei “maiali” della seconda guerra mondiale). Ma, risvolto più importante, abbiamo lasciato che gli ayatollah creassero nel nostro paese una rete per acquisire tecnologia sofisticata.

Materiale “a doppio uso” – civile e militare – necessario allo sviluppo del progetto strategico (missili, nucleare). Alcuni di questi emissari sono qui da anni, ben conosciuti, eppure vengono lasciati liberi di agire. Bussano alla porta di piccole e grandi imprese, comprano e spediscono. Solo in poche occasioni – forse quando gli iraniani si spinti oltre – le autorità italiane hanno messo fine a qualche traffico. Interventi, però, sempre in punta di piedi. A volte persino negati. Per evitare che a Teheran qualcuno si arrabbi. Strano. Non dovremmo aver paura di chi è nostro socio in affari.

Guido Olimpio

 

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