Il capo terrorista di Hezbollah diventato ebreo per amore
[b]IL GIORNALE[/b]
domenica 27 aprile 2008
[b]di R.A.Segre[/b]
Il cambiamento di religione – per convinzione, interesse, amore ecc – non ha nulla di particolare. Ma quando all'ebraismo si converte un musulmano sciita libanese, ufficiale degli Hezbollah e rischia la vita, pagando con la tortura e la morte di un figlio il suo tentativo di combattere per Israele dall'interno del campo fondamentalista, allora si tratta di una notizia alla quale è difficile credere soprattutto se raccontata in un libretto firmato con lo pseudonimo «Abi» pubblicate da un ignoto editore israeliano.
Incuriosito pensai di poter avvicinare questo Hezbollah diventato ebreo tramite il rabbino che lo aveva convertito. Un amico mi mise sulle sue tracce. È Rav Shmuel Eliahu, rabbino capo di Safed, la città santa e mistica di Galilea. Cordiale, aperto, accetta di presentarmi Abi a due condizioni: non rivelare il luogo dell'incontro; apprendere la sua incredibile avventura, militare e spirituale, in sua presenza ma raccontata da lui che di Abi sapeva tutto ma era impegnato a osservare, almeno formalmente, il segreto. Inoltre poteva correggere le falsità inserite nel libretto allo scopo di proteggere l'identità di «Abi». Ad esempio la visita di una delegazione di persone legate agli hezbollah a Auschwitz e in Vaticano. Accettai ma chiesi che la conversazione venisse registrata, dalla persona che mi aveva procurato l'incontro.
La storia di Abi inizia all'inizio degli anni Ottanta in un villaggio del Libano meridionale. Come nei Promessi sposi, un capoccia Hezbollah locale si invaghisce della fidanzata del fratello di «Abi». Per averla, lo fa arrestare e condannare a morte per spionaggio a favore di Israele. Nasce in «Abi» la volontà di vendetta. Si arruola nelle file degli Hezbollah, sale di grado, conquista la fiducia dei suoi superiori con la sua devozione religiosa, ma è turbato dall'uso cinico che i fondamentalisti fanno della fede per arruolare giovani kamikaze. Cerca risposte nel Corano e scopre passaggi che parlano della «scelta divina» del popolo di Israele, e della terra a loro promessa. Si convince che gli sceicchi interpretano a modo loro in chiave anti ebraica il Corano e che è peccato ucciderli. Perfino uno sceicco inviato dall'Iran ad aiutare i giornalisti della stazione tv degli hezbollah Al Manar dice che nella propaganda si deve attaccare i sionisti, non gli ebrei. Non è stato detto (Sura 2:47 al Bakara) che Dio ha preferito gli ebrei «sui due mondi»; che ha «scelto» Israele (Sura 7:140), che il suicidio nel nome di Dio è blasfemo? Gli ebrei possono avere tradito la Legge divina e per questo soffrire. Ma l'impegno di Dio nel dare loro la «Terra promessa» non è cambiato. Mosso da queste letture e da dubbi, «Abi» decide di mettere se stesso e Dio alla prova. Sperando di poter stabilire un contatto con gli ebrei fa fallire l'invio in Israele (attraverso la frontiera col Libano rimasta aperta sino al 2001) di una autoambulanza carica di tritolo scrivendo sul vetro sporco in caratteri ebraici la parola «esplosivo». Qualcuno al posto di frontiera se ne accorge. Spara contro il veicolo che salta in aria. Gli israeliani captano il messaggio. Un loro agente in Libano contatta «Abi» avviando una collaborazione che «salva molte vite» ma che finisce per renderlo sospetto.
Imprigionato prima nel Libano e poi in Siria, viene torturato. Gli uccidono sotto gli occhi il figlio più piccolo per piegarlo ma non parla. Cosa gli da questa forza? Si chiede; perché sfugge miracolosamente a tre attentati? Sono esperienze traumatiche, ma anche secondo lui messaggi divini che gli indicano la via da seguire. Con l'aiuto israeliano riesce a fuggire in Israele con moglie e figli dove decide di convertirsi per «lavorare» all'interno alla salvezza del popolo ebraico. Incontra Rav Eliahu che crede di aver visto in sogno quando era prigioniero. Il quale per quanto restio ad accettare conversioni, specie di musulmani, crede di vedere nel caso di «Abi» qualcosa di profetico. Non solo per le straordinarie circostanze di vita, per la conversione ideologica – da combattente anti israeliano a agente segreto israeliano contro gli hezbollah – ma per il fatto che questo libanese porta un messaggio che molti rabbini non sono capaci di articolare.
Parla con passione della fiducia che gli ebrei debbono riporre in Dio, rimprovera loro l'assenza di fede nel loro destino privilegiato. Interpreta la storia del conflitto in maniera profetica. Spiega ad esempio la fuga delle migliaia di arabi da Safed nel 1948 citando le parole dell'allora comandante arabo locale, Faudi ad Dura: «Come pensate che potessimo opporci alla volontà divina?». Gli israeliani, dice, invece di rinforzare questa convinzione araba, fatalistica, dell'impossibilità di combattere il popolo di Dio, aumentano la debolezza di Israele esaltando una superiorità materiale che non li può salvare.
Sono persone come «Abi» – dice il rabbino – che rappresentano la salvezza di Israele.
Penso a tutto questo guardando, «Abi» un uomo sulla cinquantina, indistinguibile nel vestire, nella barba, nel cappello nero a larghe falde e nei riccioloni attorcigliati dietro le orecchie ad un ebreo ortodosso che ascolta, senza parlare, ma approvando quello che il rabbino mi racconta. Vorrei, ma non posso, dirgli ciò che penso di lui, il mio stupore ma anche la mia ammirazione: fede contro razionalità , sogno contro realismo. Dio delle schiere ebraiche contro quelle del Partito islamico di Dio. Dal luogo in cui ci troviamo è visibile in fondo alla valle del Giordano il lago di Tiberiade e il monte delle Benedizioni.
Beati i poveri di spirito che avranno il Regno del Cielo.
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