L'italiano di Schindler
[b]La storia di Shulim Vogelman, l'unico italiano salvato da Oskar Schindler[/b]
[i](Di Marco Ansaldo – Fonte: La Repubblica citata da www.informazionecorretta.com)[/i]
[b]339. Ju.Ital. 69177 Vogelmann Szulim 28.4.03 Buchdrucker – Meister. [/b]La carta carbone zeppa di pieghe e di abrasioni si legge a fatica. In alto a sinistra un angolo è pure strappato. Però da vicino i nomi si vedono chiaramente. Sono tutti di "Ju.Po", cioè nell´abbreviazione usata dai nazisti "Juden Polen", ebrei polacchi, tranne qualche raro "Ju.Ung", ebrei ungheresi, e pochissimi "Ju.Russ". A scorrerla tutta per intero, fino in fondo, si ci imbatte però in una riga sulla dicitura "Ju.Ital". Un ebreo italiano. Uno solo. C´è il suo numero in ordine di lista, la data di nascita, la professione. È l´unico del lungo elenco di 1.117 nomi. Perché questo dossier smilzo che esce dal più grande archivio sui crimini del Terzo Reich, da poche settimane aperto ai ricercatori a Bad Arolsen, in Assia, è la copia finale della celebre Schindler´s List, la lista resa famosa dal film di Steven Spielberg. [b]E Schulim Vogelmann, "Buchdrucker-Meister", cioè maestro tipografo, deportato da Milano e lì ritornato alla fine della guerra, era l´unico ebreo italiano salvato da Oskar Schindler.[/b]
Le sue due schede personali che emergono dall´archivio chiuso per 60 anni, e solo adesso consultabile dagli studiosi, lo confermano senza ombra di dubbio, pur nelle variazioni fonetiche del nome di origine polacca: «Vogelmann Schilim, 41 anni», si legge in una. E nell´altra: «Wogelmann Schulim. Deportato da Milano il 6.12.43 ad Auschwitz, trasferito a Plaszow Cracovia, poi a Gross Rosen, poi a Bruennlitz. Giunto a Milano il 17.6.45».
La lista di Schindler è all´interno del dossier riguardante il campo di concentramento di Gross-Rosen, nel cosiddetto Commando Bruennlitz, il Lager ceco dove venne internato il convoglio, proveniente da Cracovia, degli ebrei salvati da quel singolare imprenditore nazista ribellatosi infine all´idea di vederli giustiziati.
L´elenco è lungo: sulle prime 12 pagine ci sono esattamente 700 uomini, poi le donne: 300 (che come racconta il film furono per errore mandate per alcune terribili settimane ad Auschwitz, invece che a Bruennlitz, e fatte tornare indietro da Schindler al prezzo di costosi regali a un gerarca nazista); altri 81 nomi provengono dal Lager di Golleschau; 6 sono gli internati di Landskron; e infine 30 persone dal campo di Geppersdorf. In tutto, 1.117. I "fortunati" che scamparono alla deportazione dopo la chiusura di Plaszow Cracovia, e quindi a morte sicura, entrando nella lista fatta compilare da Schindler ai suoi stenografi. Il nome dell´ebreo italiano compare sia nell´elenco iniziale, custodito allo Yad Vashem, il Museo dell´Olocausto a Gerusalemme, sia in questo. [b]Ma quasi nessuno si era mai accorto di quelle due abbreviazioni, "Ju.Ital.", che nascondono la storia di un uomo eccezionale.[/b]
«[b]Nemmeno io sapevo che mio padre faceva parte della lista compilata da Schindler[/b] – conferma oggi [b]il figlio di Vogelmann, Daniel, che ha 58 anni ed è il direttore della Giuntina,[/b] la casa editrice fiorentina specializzata in cultura ebraica – lui non lo disse mai e io lo scoprii solo dopo l´uscita del film, che è del 1993. A quel punto scrissi allo Yad Vashem, per avere davvero conferma del nome di mio padre».
Chi era dunque Schulim Vogelmann, nato in Galizia orientale (Polonia) nel 1903 e morto a Firenze nel 1974? L´unico ebreo italiano salvato da Schindler fu, dopo la guerra, tutt´altro che uno sconosciuto, diventando anzi proprietario e direttore di questo glorioso marchio editoriale, allora semplice Tipografia. La sua fu una vita terribile e straordinaria.
Con la famiglia trasferitasi a Vienna, a soli 15 anni il ragazzo Schulim decise di andare in Palestina per arruolarsi come caporale nell´esercito britannico. «Il nonno Nachum – racconta Daniel – lo accompagnò alla stazione sud della capitale austriaca e lo salutò così: "Che cosa vuoi che ti dica? Di mangiare con coltello e forchetta? Sii onesto!". Non si videro mai più».
Terminata l´esperienza sionista, e spostatosi tre anni dopo a Firenze dove il fratello insegnava il Talmud nel Collegio rabbinico locale, Schulim venne assunto come compositore a mano dal libraio antiquario ed editore Leo Samuel Olschki, proprietario della Giuntina. Ne divenne in breve il direttore della tipografia, pubblicando il celebre e per quei tempi scandalosissimo "L´amante di Lady Chatterley" dopo che David Herbert Lawrence aveva scelto il suo marchio per stampare la prima edizione italiana del libro. Vogelmann, ormai adulto, si era intanto fidanzato e poi sposato con Annetta Disegni, figlia del rabbino di Torino, dalla quale ebbe infine una bambina: Sissel, "dolce" in lingua yiddish.
Furono, quelli di prima della guerra, anni sereni per la famiglia Vogelmann, ma troppo veloci. Nel 1938 il fascismo promulgò le leggi razziali e l´8 settembre 1943 i tedeschi invasero l´Italia. Schulim, Anna e Sissel cercarono di fuggire in Svizzera. Al confine furono però arrestati dalla polizia repubblichina. Il 30 gennaio 1944, con altre 604 persone rinchiuse nel carcere di San Vittore a Milano, vennero caricati su carri coperti di teli e portati a calci e pugni alla Stazione centrale dove dal Binario 21 partirono verso Auschwitz. Insieme con loro c´erano più di 40 bambini. Sissel aveva 8 anni, la persona più anziana 88. Il viaggio durò sette giorni, tra sofferenze, angoscia, lacrime, fame, sete e percosse. All´arrivo le donne con i bambini furono subito avviati alle camere a gas. Gli uomini giudicati idonei divennero invece lavoratori forzati. Cinquecento persone in tutto furono eliminate e poi bruciate nei forni crematori: tra loro Sissel, che divenne il simbolo della Shoah italiana, e sua madre.
Di quel gruppo, al termine della guerra, solo in 20 riuscirono a tornare a casa. Schulim fra loro. «Tra le tante, più o meno imperscrutabili ragioni grazie alle quali mio padre riuscì a sopravvivere – spiega Daniel – ci fu senz´altro quella di essere un tipografo, utile quindi allo sforzo bellico tedesco. I nazisti volevano infatti mettere in crisi la Banca d´Inghilterra e tentarono anche con quella d´America. Decisero così in un primo tempo di stampare sterline false. Lo fecero a Sachsenhausen, e a Plaszow dov´era lui. Quei soldi servirono a pagare la famosa spia Cicero e a molte altre operazioni. La gente che lavorava lì poteva mangiare un po´ di più. La sua conoscenza del tedesco e del polacco (vendette una mezza razione di pane per una grammatica polacca, al fine di rinfrescare questa lingua di gioventù) lo devono aver aiutato a entrare nella lista, oltre all´arte tipografica. Mio padre si salvò così anche grazie al suo impiego di "falsario". Un mestiere che, a guerra finita, avrebbe potuto indurlo in tentazione. Ma lui era un uomo molto onesto».
Tornato a Firenze senza più moglie e bambina, Schulim Vogelmann trovò ad aspettarlo solo la fedele Tipografia Giuntina, a cui si dedicò anima e corpo per sfuggire al dolore, per non pensare al vuoto. Ne divenne proprietario, e trovò anche la forza di risposarsi, con Albana Mondolfi, vedova e madre di un bambino di 8 anni, Guidobaldo. Nel 1948 nacque Daniel: «Mio padre non parlò mai molto del periodo di guerra. Né io gli chiesi troppo: morì quando avevo 27 anni. Voleva scrivere un libro, ma non ha fatto in tempo. Aveva cose più importanti da pensare, come ricominciare a vivere, sposarsi, mettermi al mondo. In fondo fu un bel gesto, no?».
La vita del figlio di un sopravvissuto ai campi della morte, di un cosiddetto figlio della Shoah, aggiunge Daniel, non è mai facile. «A vent´anni avrei voluto diventare uno scrittore, però riuscii soltanto a pubblicare qualche volumetto di poesie. Poi entrai anch´io nell´azienda di famiglia, ma non riuscivo ad ambientarmi: il mestiere di tipografo, pur nobilissimo, non era fatto per me. Confesso che mi sentivo piuttosto disperato. Miracolosamente, proprio quella mia disperazione mi aiutò a trovare un compromesso: se non riuscivo a fare lo scrittore, se non potevo fare il tipografo, avrei fatto l´editore. E così, con l´aiuto di mio fratello e di mia moglie Vanna, fondai nel 1980 l´Editrice La Giuntina, specializzandomi subito in opere di argomento ebraico. Il primo libro della collana "Schulim Vogelmann", dedicata alla memoria di mio padre, fu "La notte" di Elie Wiesel, un autore allora sconosciuto in Italia». Dopo Wiesel, divenuto nel 1986 premio Nobel per la pace, La Giuntina scoprì anche Abraham Yehoshua, ora un vero e proprio autore di culto. [b]Oggi c´è un altro Schulim Vogelmann. E´ il figlio di Daniel, che dopo essersi laureato in Storia all´Università ebraica di Gerusalemme è tornato a Firenze, scrive libri e ha avviato per la casa editrice una nuova collana, "Israeliana".[/b]
Daniel non ha però mai dimenticato la sorellina morta prima che lui nascesse. E a lei ha dedicato un volume minuscolo, di testi brevissimi, "Cinque piccole poesie per Sissel": «Promettimi/che mi darai la mano/il giorno che arriverò da te./Perché, sai, un po´ di paura/mi è rimasta…/Ora ti saluto, sorellina./Aiutami a vivere, se puoi./E anche a morire./Come ti ho già detto,/spero d´incontrarti un giorno./E immagino che sarò molto emozionato».
Schulim Vogelmann riposa al cimitero di Firenze, vicino alla tomba di Primo Levi. Sulla lapide, il figlio Daniel ha voluto che fosse impresso, a ricordo perenne, il numero di prigionia che suo padre aveva tatuato sul braccio: 173484.
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