[img]/new/e107_images/newspost_images/logo_ita.gif[/img]
[b]
[i]Fonte: – 03.02.2008[/i][/b]

[i]Testata: La Stampa – La Repubblica
Autore: Giovanna Favro – Massimo Novelli – Alessandra Longo – Massimo Novelli – Angela Lano – Ettore Boffano
Titolo: «Fiera del libro, muro contro muro – Israele alla Fiera del Libro sinistra divisa sul boicottaggio – Il dibattito infuria sul»[/i]

[b]Dalle pagine torinesi de LA STAMPA del 3 febbraio 2008, una cronaca di Giovanna Favro.Segnaliamo la novità rappresentata dall'esplicita presa di posizione di Rifondazione Comunista, che si schiera con i sostenitori del boicottaggio:[/b]

Dopo la fatwa di Tariq Ramadan che invita a boicottare la Fiera del Libro, «colpevole» dell’invito agli scrittori di Israele come ospiti d’onore, è a mille la polemica che ha investito Librolandia, e si alza pure l’attenzione della polizia: domani sarà negli uffici della Fiera Elazar Cohen, inviato dall’ambasciata israeliana, mentre sui siti antagonisti che rilanciano gli inviti al boicottaggio è spuntata una sigla nuova, i «NoFiera», insieme ai «NoTav» e «Nodalmolin». Denuncia intanto «il rischio di un’escalation nel livello dello scontro» lo scrittore Younis Tawfik: si dice «preoccupato del clima di questa polemica» e prepara un incontro, nei prossimi giorni, tra organizzatori e comunità araba.

Nel clima sempre più arroventato, Rolando Picchioni ammette che negli uffici della Fiera sono piovuti, oltre a un fiume di messaggi solidali, pure «insulti, arroganze, fatwe, veti». Però «non ci facciamo certo intimidire, ci mancherebbe altro. Non faremo una Fiera amputata, schizofrenica, piegata alle convenienze o al manuale Cencelli degli ospiti».

Ieri Rifondazione Comunista è scesa in campo per la prima volta accanto ai Comunisti italiani, dichiarando inopportuno l’invito di Libropoli nel 60° anniversario della nascita dello Stato d’Israele. E mentre Vincenzo Chieppa (Comunisti italiani) insiste nel chiedere «pari dignità per la Palestina», va nella direzione opposta la lettera che il regista Davide Ferrario ha spedito al direttore Ernesto Ferrero: detto che «nel conflitto medio-orientale non si può che stare con i palestinesi», «per la sua natura di incontro, la Fiera è l’occasione per affrontare la questione. Rispondere col muro del silenzio e del boicottaggio è cadere nella stessa logica di chi i muri li costruisce per dividere i popoli».

Nel gran turbinio scatenato dalla querelle, ieri Fabrizio Cicchitto (Fi) ha definito il boicottaggio «puro antisemitismo», mentre per il sindaco Sergio Chiamparino «sta prendendo piede un fondamentalismo politico prima che religioso». E’ con lui Walter Vergnano, sovrintendente del Regio: «Sarebbe aberrante non poter ospitare liberamente un gruppo di intellettuali. Chi invita una letteratura non è contro un’altra, e rivendico il diritto di leggere libri sia di israeliani che di arabi, ascoltandone gli autori». Pure a Franzo Grande Stevens pare che nelle scelte della Fiera «non ci sia alcun intento discriminatorio», e s’è detto indignato delle polemiche Paolo Bertinetti, il cattedratico che propose la laurea ad honorem ad Abraham Yehoshua: «La scelta della Fiera non può essere messa in discussione per ragioni politiche da chi confonde politica e cultura».

L’Unione araba cittadina, però, è ferma nelle sue posizioni: per Franco Trad «non si può festeggiare l’anniversario di un paese che semina morte e la cui indipendenza è una ferita aperta». Se Tawfik lavora al dialogo («La Fiera ha sempre ospitato autori arabi, è stata fraintesa»), per Ernesto Ferrero «sbaglia chi non scinde politica e cultura, e presenta per l’ennesima volta un’immagine faziosa e intollerante della Palestina». Chi protesta «non sa il significato di “ospite d’onore”: non prevediamo corone fiorite e lanci di caramelle dai balconi, ma incontri con scrittori, per di più critici col governo. Cosa temono gli autori arabi? Vengano a Torino ed espongano democraticamente il loro punto di vista».

[b]Da LA REPUBBLICA la cronaca di Massimo Novelli che appare preoccupato, più che di informare, di insinuare improbabili giustificazioni all'azione dei boicottatori.[/b]

Il partito dei Comunisti italiani" scrive "precisa di non avere mai richiesto l´esclusione di Israele ma soltanto un´estensione dell´invito ai palestinesi"
Una "precisazione" che è in realtà una mistificazione: il Pdci ha chiesto proprio l'esclusione di Israele, a meno che non fosse presente sullo stesso piano anche l'Autorità palestinese (gli inviti ai singoli scittori erano già stati fatti). Un modo per dire che il diritto all'esistenza di Israele è condizionato e dubbio.

"Nonostante le smentite della fiera torinese", scrive ancora Novelli "si continua a ritenere che la partecipazione israeliana, nel sessantesimo anniversario della fondazione dello stato ebraico, abbia tutto il senso di una celebrazione. " Una "celebrazione" della nascita di Israele sarebbe ritenuta intollerabile da chi lo vorrebbe cancellato dalla carta geografica. E' un buon motivo, secondo Novelli, per boicottare la Fiera ?

Ecco il testo:

[b]TORINO – [/b]Non si placano le polemiche e il centro sinistra si spacca sulla presenza di Israele alla Fiera internazionale del libro di Torino, diventata oggetto di una campagna di boicottaggio che vede in prima fila alcune associazioni di scrittori egiziani, giordani e palestinesi, e noti intellettuali del mondo arabo come Tariq Ramadan. I soci pubblici (Regione, Comune e Provincia di Torino) e i vertici della Fondazione per il libro, che organizza la manifestazione, anche ieri hanno riaffermato che non si cambierà idea, e confermeranno domani a Elazar Cohen, addetto culturale dell´ambasciata israeliana di Roma, in visita a Torino, che Israele resta l´ospite d´onore del salone in programma dall´8 al 12 maggio. Allo scopo di mediare tra la linea della fermezza, tuttavia, e le posizioni di quei settori della sinistra, come i Comunisti italiani, che hanno chiesto di invitare ufficialmente, insieme a Israele, pure l´Autorità nazionale palestinese, si sta cercando una via d´uscita ragionevole. Ma sulla stessa linea del Pdci si è schierata ieri Rifondazione comunista: «Non è ovviamente in discussione la necessità di parlare della cultura ebraica, ma piuttosto l´opportunità di dedicare la Fiera a Israele come stato. E´ opportuno che la Fiera riveda la sua decisione e che la presidente di turno Mercedes Bresso, e i suoi due co-presidenti, Sergio Chiamparino e Antonio Saitta, si adoperino in tal senso». Il sindaco da parte sua replica così: «Questo è fondamentalismo politico».
Alla mediazione sta lavorando Rolando Picchioni, presidente della fondazione. Nelle sue intenzioni, in sostanza, alla Fiera del libro dovrà trovare spazio un grande stand dedicato alla cultura della Palestina, con una collocazione di «pari dignità» rispetto a quello della nazione ebraica. Non si tratterebbe di una partecipazione sancita dai crismi dell´ufficialità, ma ne avrebbe in qualche modo la parvenza. Basterà, però, questo escamotage, che potrebbe sembrare una marcia indietro parziale, per calmare gli animi ed evitare il rischio di un salone blindato, pressoché in stato d´assedio, nell´eventualità di qualche azione di stampo violento o addirittura terroristico? E i soci pubblici della fondazione saranno concordi nell´accettare l´idea di Picchioni? Difficile dirlo, almeno per ora. Rimane il fatto che, mentre il boicottaggio arabo e islamico potrebbe estendersi alla Fiera del libro di Parigi (si svolge a marzo), che a sua volta ha invitato Israele, da Torino sia il sindaco Sergio Chiamparino, sia l´avvocato Franzo Grande Stevens, presidente della Compagnia di San Paolo, il maggiore sponsor di Librolandia, hanno tagliato corto con chi vorrebbe una dietrofront rispetto alle decisioni assunte mesi fa. Il primo ha sostenuto che «sta prendendo piede un fondamentalismo politico prima ancora che religioso». E il secondo, in modo altrettanto netto, ha ricordato: «Penso che non ci sia nessuna discussione possibile su questo argomento. Vogliamo ricominciare con le discriminazioni?». Eppure, mondo arabo a parte, il partito dei Comunisti italiani, che precisa di non avere mai richiesto l´esclusione di Israele ma soltanto un´estensione dell´invito ai palestinesi, e Rifondazione comunista, non si arrendono. Nonostante le smentite della fiera torinese, si continua a ritenere che la partecipazione israeliana, nel sessantesimo anniversario della fondazione dello stato ebraico, abbia tutto il senso di una celebrazione.

[b]Sempre da REPUBBLICA un articolo sulle polemiche suscitate dalla presa di posizione di Valentino Parlato contro il boicottaggio:[/b]

[b]ROMA -[/b] «No, non cambio idea». Dalla nuova sede del manifesto a Trastevere, Valentino Parlato fa sapere che non si è pentito, anzi. Travolto da un fiume in piena di lettori incazzati, che hanno minacciato persino di non comprare più il giornale dopo il suo articolo del 24 gennaio scorso (titolo: «Un boicottaggio sbagliato»), il padre fondatore del quotidiano comunista registra serenamente l´aumentare dei toni e delle polemiche. E rimane sulle sue posizioni: «Il boicottaggio è muto, è un no senza argomenti… Non siamo in una buona situazione e, come sempre, a cattive situazioni corrispondono cattive reazioni».
Equazione secca: o stai con i palestinesi o stai con lo stato d´Israele. E se stai con i palestinesi, ridotti alla fame e chiusi nella prigione di Gaza, allora contesti tutto, anche i criteri d´invito usati alla Fiera del Libro di Torino. Il malumore è partito dal Pdci torinese ma di questo, a Roma, non ne vogliono parlare. Meno che meno, fanno sapere dal quartier generale di Diliberto, in queste ore difficili per la politica italiana in cui «qualunque posizione potrebbe essere strumentalizzata».
Intendiamoci, Parlato non è solo. Gli scrivono anche molti compagni che, pur vicini ai palestinesi, si rammaricano di quel «vecchio meccanismo inconscio nella storia della sinistra» per cui bisogna a tutti i costi targare gli intellettuali a seconda «della loro utilità alla causa». Non sarebbe meglio, come suggerisce Parlato, «approfittare della Fiera per discutere, criticare la politica dello Stato d´Israele, difendere i diritti dei palestinesi?». Diceva Tahar Ben Jelloun su Repubblica di ieri: «Non confondo Olmert con Oz, Grossman o Gutfreund». Già, perché è proprio questo il punto: non confondere. Moni Ovadia, un ebreo che ha molto a cuore la sorte del popolo palestinese, mette in guardia da «derive pericolosissime»: «Non si può confondere un Paese con il suo governo. Altrimenti dovremmo boicottare anche le Olimpiadi cinesi perché la Cina occupa il Tibet. La politica dei governi israeliani nei confronti dei palestinesi suscita indignazione ma gli scrittori, le università israeliane, rappresentano la parte migliore di quella società. Marginalizzarla significa dare uno strumento potentissimo alla destra israeliana, e questo non aiuta certo i palestinesi».

Ovadia è contrario all´ipotesi di boicottaggio torinese: «Certa sinistra purtroppo ha difficoltà a rapportarsi con la complessità del reale, continuo ad avvertire un nodo non limpido sulla questione di Israele e della sua legittimità ad esistere. Ripeto: perché nessuno lancia boicottaggi contro la Russia per la Cecenia, contro l´America per l´Iraq e contro la Cina per il Tibet?». Valentino Parlato riconduce «gli eccessi di animosità altrui» alle terribili immagini che arrivano da Gaza, ridotta alla fame. Inutile sperare in un dibattito in punta di penna. Un compagno scrive sul Forum Palestina: «Valentino, i tuoi argomenti potrebbero essere tratti di peso da un comunicato emesso dall´ambasciata d´Israele…». Lui tira dritto: «No, non cambio idea, il libro va sempre rispettato».

[b]Dalle pagine torinesi de LA REPUBBLICA un'intervista a Saverio Vertone:[/b]

«Mi sembra una vicenda connotata soprattutto da grandi stupidità, che potrebbe tuttavia sfociare nel tragico». Saverio Vertone, saggista e opinionista di pensiero libero, mai conformista o banale, definisce in questo modo la tempesta che da qualche settimana minaccia la Fiera del libro di Torino, «colpevole» di avere invitato Israele come ospite d´onore dell´edizione del prossimo maggio. È una tempesta che, se la campagna di boicottaggio verrà messa davvero in atto, potrebbe diventare un ciclone.

«Quando parlo di stupidità mi riferisco anche alle dichiarazioni fatte l´altro giorno da Tariq Ramadan contro la presenza di Israele. Sono affermazioni, le sue, che non capisco e che, ripeto, mi paiono sciocche, sebbene Ramadan sia tutt´altro che uno sprovveduto. Ho letto alcuni dei suoi libri, che sono piuttosto interessanti. Ma egualmente sciocche erano state le accuse mosse, tempo fa, nei suoi confronti. Purtroppo stupidità del genere incombono su gran parte dell´orizzonte non solo della Fiera e dell´Italia, ma di questo mondo».
La cosiddetta sinistra radicale, a cominiciare da Vincenzo Chieppa, segretario provinciale torinese dei Comunisti italiani, sostiene che la Fiera del libro dovrebbe invitare ufficialmente, oltre che Israele, anche l´Autorità nazionale palestinese. Che cosa pensa di una simile proposta?

«Credo che il suggerimento di Chieppa sia assecondabile. Invitino ufficialmente i palestinesi, perché Picchioni e gli altri non lo fanno? Non dico che dovevano farlo prima, ma che potevano farlo, senza per questo intaccare la loro dignità e quella di Israele. Invece si è finiti tra labirinti e muri di sciocchezze. Bisognerebbe abbatterli, questi muri, però non vedo i picconatori. Insomma, è una situazione sciocca, ma è anche un fatto grave. E non lo è solamente per le polemiche sulla Fiera del libro e sulla campagna contro Israele, ma in particolare per quanto sta succedendo in Palestina in questi giorni».
Il dramma che si consuma nella striscia di Gaza è uno dei motivi all´origine del ventilato boicottaggio della Fiera.
«Il vero guaio è che nessuno dice basta ai lanci dei missili Kassam, agli omicidi mirati della popolazione civile. Se si fa la conta dei morti, del resto, se si mettono le cifre a confronto, mi pare che le vittime palestinesi superino quelle israeliane, no? Comunque, finché c´è Bush, non lo potrà fare l´America. Ma l´Europa perché non si fa sentire? Perché non cerca di gettare secchiate d´acqua sul conflitto, sugli avvenimenti di Gaza? E adesso, che ho detto queste cose, spero che non mi accusino di non avere la consapevolezza della Shoah. Come lei saprà, l´accusa di antisemitsmo è micidiale. Vorrei evitarla».
In sostanza, tornando alla Fiera del libro, che scenario prevede?
«Se si continuerà così, si cadrà nel ridicolo, nel grottesco, con la possibilità di arrivare al tragico, dato che qualsiasi fanatico potrebbe agire. Può succedere di tutto, in definitiva».

[b]Un articolo sulle posizioni all'interno della comunità araba di Torino:[/b]

La Fiera del Libro dedicata a "Israele ospite d´onore" continua a far discutere animatamente, come è ovvio, anche all´interno delle comunità arabe. Le posizioni sono diverse, in certi casi opposte: c´è chi si schiera nettamente per il boicottaggio del Salone e chi ritiene un´occasione importante la presenza di scrittori israeliani con cui, magari, poter trovare una via di dialogo. Quasi tutti, tuttavia, ritengono "eccessivo", inopportuno" aver dedicato una manifestazione culturale a Israele mentre è in corso l´assedio alla Striscia di Gaza.
Se sull´argomento i dirigenti maghrebini delle moschee di Porta Palazzo e dintorni tengono un "basso profilo", dopo l´espulsione dell´ultimo imam, per non incorrere in polemiche su un tema "rischioso" come la Palestina, i "laici" palestinesi parlano volentieri.
«Il boicottaggio del Salone è un atto dovuto – sostiene Kutayba Younis, educatore – intanto perché Israele ha imposto la propria presenza come "ospite d´onore", quando avrebbe dovuto esserlo l´Egitto, secondo gli accordi presi l´anno scorso dagli organizzatori della manifestazione torinese. Poi, perché in Palestina la popolazione civile sta soffrendo a causa delle politiche israeliane. I diritti palestinesi sono violati tutti i giorni. E che si fa, qui a Torino? Si "festeggia" la creazione dello Stato ebraico».
Nizar Mansouri, presidente dell´Associazione al-Bayad, la Comunità dei palestinesi in Piemonte, la pensa diversamente: «In quanto evento intellettuale, noi non abbiamo nulla contro la presenza di scrittori israeliani alla Fiera. E´ giusto promuovere la diffusione delle culture, quindi anche di quella israeliana, che ha al suo interno pensatori di sinistra critici con il governo. Le loro posizioni non sono distanti dalle nostre, perché boicottarli? E´ anti-democratico. Altro è, però, celebrare la nascita di Israele».
Dello stesso avviso è Fouad Shibli, presidente dell´Unione degli Arabi di Torino: «Invitiamo pure gli intellettuali israeliani e discutiamo con loro della situazione in Palestina e delle scelte del governo israeliano, ma senza festeggiare il 60° anniversario di Israele, Paese occupante di un altro popolo. Con quello che sta succedendo a Gaza, questa "dedica" dà fastidio. Gli organizzatori del Salone dovrebbero tenere conto anche della sensibilità degli arabi».«Come scrittore sono un uomo libero – aggiunge Younis Tawfiq, intellettuale italo-iracheno e presidente del Centro Dar al-Hikma – non sono a favore dei boicottaggi: non servono a nulla. In questo caso, Israele viene dipinta dai media come la vittima e noi come degli incivili. La cultura deve essere super-partes. La presenza di Israele alla Fiera del Libro può essere utile alla causa palestinese, che noi sosteniamo: ci dà modo di sederci e di interloquire con gli scrittori israeliani, di affrontarli alla pari. Facciamo diventare il Salone una "piazza" di dibattito e di sensibilizzazione sulla situazione palestinese. La scelta dell´anno, il 60° della nascita di Israele, tuttavia, è stata inopportuna».
«Sono convinto che anche gli intellettuali israeliani soffrano – afferma Muin Masri, scrittore palestinese – rendendosi conto di come il retaggio etico-morale ebraico si sia ridotto grazie alle politiche dei loro governi nei confronti dei palestinesi. Censurare le persone di cultura non ha senso, meglio incoraggiare chi di loro ha posizioni critiche, per costruire la pace».

[b]
Un editoriale di Ettore Boffano:[/b]

«Meglio perire per mano degli stupidi che subirne gli elogi». (Anton Pavlovic Cechov, «Quaderni»)
Sull´invito di Israele alla Fiera del libro, sull´assurda querelle che da una settimana sta montando contro la prossima edizione della kermesse culturale del Lingotto, nulla ci sarebbe da aggiungere dopo ciò che ha scritto, su Repubblica, uno dei più grandi intellettuali musulmani viventi, Tahar Ben Jelloun: «Bisogna distinguere in modo netto: la politica di uno Stato non è assimilabile alla produzione letteraria degli scrittori di quello Stato».
In realtà, è però doverosa una breve postilla: del tutto locale e strettamente legata al modesto orizzonte della politica torinese. Essa attiene, senza alcuna ombra di dubbio, il concetto di stupidità e la disamina antropologica di coloro che della stupidità si fanno interpreti. Una questione che pare incentrarsi attorno alla dirigenza subalpina di un preciso partito politico, caratterizzato nella sua denominazione da una forte appartenenza identitaria e storica: i Comunisti Italiani.
Nelle settimane scorse, dopo la caduta del governo Prodi al Senato, un dirigente di quello stesso partito, il consigliere regionale Luca Robotti, si era già distinto per una singolare esternazione che aveva come obiettivo Franco Turigliatto, il senatore transfuga di Rifondazione che aveva contribuito, assieme a Lamberto Dini e a Clemente Mastella, alla fine dell´esecutivo dell´Unione. Il caso vuole che, nella vita privata, Turigliatto sia un dipendente della Regione Piemonte, in quanto beneficiario di quella legge che determinò l´assunzione definitiva dei «portaborse» di Palazzo Lascaris: una norma scandalosa alla quale ha attinto a piene mani, senza riserve o esclusioni, tanto la «casta» politica del centrodestra come quella del centrosinistra. Nei prossimi mesi, egli dovrà tornare inevitabilmente al proprio «lavoro», ma Robotti gli ha già promesso una sicura vendetta fatta di «vessazioni quotidiane». Parole che si commentano da sole e che inducono anche a una ulteriore riflessione: il comunista Robotti non ha imparato nulla dalla storia, neppure da quella familiare e dell´ideologia sotto il cui segno continua a militare. Un suo lontano parente, infatti, il cognato di Palmiro Togliatti Paolo Robotti, ebbe la sventura di subire nella Mosca di Stalin altre e ben più feroci «vessazioni» che, nel 1957, trovò poi il coraggio di contestare addirittura al «Migliore»: «Noi sapevamo tutto quello che stava accadendo… Non potevamo non sapere».
Da qualche giorno, invece, un altro esponente di quello stesso partito, il segretario provinciale Vincenzo Chieppa, sta conducendo la sua battaglia politica contro l´invito rivolto dalla Fiera del Libro a Israele. Nel suo ultimo comunicato di ieri pomeriggio, Chieppa ribadisce l´accusa di un clamoroso «errore» e chiede, come se ci trovasse davanti a un tavolo di pace organizzato a Camp David, di rimediare in corsa prevedendo «due ospiti d´onore: Israele e la Palestina, con pari dignità e facendo di questo importantissimo appuntamento culturale un momento di dialogo e di confronto tra quelle due culture».
Una logica senza senso, come ha spiegato bene Ben Jelloun. La dignità della letteratura e della cultura di Gerusalemme non sono forse indipendenti dallo Stato in cui vivono e si alimentano? Ed esse non hanno forse diritto di esistere al di fuori della contrapposizione politica e militare tra Israele e Palestina? E infine, che cosa direbbe Chieppa se, il giorno in cui la Fiera del Libro decidesse di invitare Cuba e i suoi scrittori, il postfascista Agostino Ghiglia pretendesse un´analoga partecipazione degli intellettuali presenti nella comunità degli anticastristi di Miami?
Tra i tanti limiti della mediocre classe politica italiana di oggi, a Roma come a Torino, c´è anche la mancanza di memoria, l´incapacità di collegare le scelte e le analisi di oggi al passato anche più recente. Se Chieppa e i suoi possedessero tale memoria, allora potrebbero rievocare un´altra importante polemica culturale italiana che, alla fine degli Anni Settanta, lambì anche il Piemonte. L´organizzazione a Venezia, da parte del socialista Carlo Ripa di Meana, della «Biennale del dissenso sovietico» nonostante le pressioni e il boicottaggio del governo di Mosca e le riserve di molti intellettuali italiani progressisti. Un anno dopo, quella mostra approdò a Torino per iniziativa di un quotidiano che non esiste più, la Gazzetta del Popolo, e con l´egida della Regione Piemonte guidata dal socialista Aldo Viglione che era stato eletto presidente della prima giunta «rossa» piemontese con il voto di un partito, il Pci, al quale anche i Comunisti italiani devono un contributo di storia e di identità.
Avrebbe avuto un senso, allora, pretendere di affiancare a quella Biennale una mostra che celebrasse le magnifiche e progressive sorti dei soviet? E, per un ulteriore contraltare, sarebbe stato giusto bilanciare un´ipotetica iniziativa di quel tipo chiedendo all´Ambasciata statunitense di Roma di allestire una celebrazione della cultura del Nord America? Rilegga Ben Jelloun, compagno Chieppa, e si faccia spiegare chi era l´avvocato Aldo Viglione. Subito dopo, però, rifletta sul concetto di stupidità.

[b]Dalla rubrica delle lettere, un intervento di David Meghnagi Docente di psicologia clinica Università Roma Tre :[/b]

Fino alla seconda metà degli anni Ottanta i principali editori di sinistra in Italia hanno di fatto operato una silenziosa censura contro la letteratura israeliana. Il clima è cambiato dopo la caduta del Muro di Berlino e gli accordi israeliani palestinesi. Da allora gli scrittori israeliani hanno avuto una grande fortuna. La letteratura è arrivata dove la politica appariva cieca e incapace di andare oltre gli stereotipi e i luoghi comuni della guerra fredda e dei pregiudizi.

Se non fosse per le conseguenze devastanti sul piano morale e politico, verrebbe da ridere amaramente di fronte all'idea che per malintesi sentimenti di solidarietà verso i popoli oppressi, qualcuno non trovi di meglio che prendersela coi libri. I libri come gli alberi non si possono difendere. Sono loro a nutrirci ma se non li proteggiamo diventiamo noi stessi secchi e aridi.

Che a lanciare gli anatemi contro la Fiera del Libro, siano i fondamentalisti islamici non sorprende. Né sorprende se a fare da gran cassa siano i relitti di un comunismo che non hanno mai fatto realmente i conti con la tragedia dei gulag e del totalitarismo. Il copione è vecchio. Fa da sfondo ad un antisemitismo che si alimenta del conflitto mediorientale ed ha come oggetto la demonizzazione dello Stato di Israele e della sua esistenza.

 

Comments are closed.

Set your Twitter account name in your settings to use the TwitterBar Section.