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[b]Testata: Informazione Corretta
Data: 07 gennaio 2008
Autore: Federico Steinhaus[/b]

La vitalità e la capacità di sopravvivenza di un minuscolo popolo che per duemila anni ha dovuto vivere disperso in mezzo a maggioranze ostili e violente, delle quali era preda indifesa; di un popolo che malgrado persecuzioni, massacri, conversioni di massa forzate, espulsioni – ma anche malgrado le lusinghe della ricchezza e del potere derivanti dall’assimilazione – ha saputo arrivare ad oggi conservando l’essenza della sua fede ed il senso unitario della propria identità: questo è il grande mistero che avvolge gli ebrei.

Tutti i popoli dell’antichità, dai Greci agli Egizi, dai Fenici ai Romani, grandi popoli che hanno forgiato la civiltà che noi oggi conosciamo, sono scomparsi nei gorghi della Storia, travolti da guerre o da altre sciagure, e di loro non rimangono che grandiosi monumenti di pietra.

Gli ebrei non hanno costruito monumenti che abbiano attraversato il tempo, ma solo sinagoghe, spesso trasformate in chiese o distrutte. I monumenti che gli ebrei hanno dato all’umanità si chiamano Bibbia e Dieci Comandamenti, che sono parole, idee, concetti. Ed è attorno a questi monumenti, non a quelli in pietra, che gli ebrei hanno saputo mantenere forte e viva la loro consapevole appartenenza, portandoli nel proprio cuore negli esili e nelle persecuzioni.

Questa premessa è indispensabile per capire cosa sia successo a Belmonte, un paesino di 3.600 abitanti nel cuore del Portogallo.

La Penisola Iberica – la Spagna più del Portogallo – fu il luogo in cui per secoli gli ebrei vissero una loro "età dell’oro", fino a quando vi fu introdotta la Santa Inquisizione, che ancora porta impresso col marchio dell’infamia il tragico nome di Torquemada. Sinagoghe bruciate dopo aver massacrato i fedeli raccolti in preghiera, come avvenne ad esempio a Toledo, roghi di infedeli ed eretici o supposti tali, il terrore. Gli ebrei furono costretti a convertirsi o ad abbandonare, lasciando sul posto i loro beni, la patria. In Spagna i Re Cattolici Ferdinando ed Isabella cacciarono gli ebrei nel 1492, l’anno della scoperta dell’America da parte di un uomo, Colombo, del quale si suppone che fosse un "marrano", e che usò gli strumenti ideati dai cartografi ed astronomi ebrei per navigare.

Già, i "marrani": termine spregiativo col quale i cattolici indicavano gli ebrei che si erano dovuti convertire ma praticavano in segreto i riti ebraici. Se fossero stati scoperti sarebbero finiti sul rogo. Le feste ebraiche venivano anticipate o posticipate per ingannare gli inquisitori ed i vicini di casa, i riti si celebravano in casa sottovoce, poi si andava in chiesa a seguire con compunzione la Messa. Spagna e Portogallo sono piene, inconsapevolmente, di un retaggio ebraico in tradizioni locali e cibi. Quando la moglie del marinaio, nel paesino di pescatori, accendeva le candele sul davanzale al venerdì sera credeva di segnalare al marito la via del ritorno, non di seguire i precetti dello Shabbat.

L’esistenza dei marrani è stata scoperta per caso tra l’Ottocento ed il Novecento, ma fino a mezzo secolo fa i marrani di Mallorca ancora temevano di manifestare la loro ebraicità. Del resto l’editto di espulsione del 1492 è stato revocato da Francisco Franco, dopo essere rimasto in vigore per mezzo millennio. Sono trascorsi poco più di quarant’anni da quando io stesso ho vissuto il timore con il quale gli ebrei di Madrid si riunivano in segreto, in una casa d’abitazione, per il divieto di celebrare le loro feste e di vivere la loro identità. Lo scorso anno, a Porto, un sacerdote che voleva ampliare la sua casa ha abbattuto un muro ed ha trovato una sinagoga del periodo dell’Inquisizione.

Dunque, Belmonte.

Qui i primi ebrei a gettare la maschera del marranesimo imposta loro da re Manuel I nel 1497 risalgono agli ultimi dieci anni dello scorso secolo. Oggi gli ebrei sono il 10% della popolazione locale, hanno una bella sinagoga donata da un francese, un bellissimo museo visitato in due anni da 14.000 persone provenienti da tutto il mondo. Grazie a loro l’economia di mera sopravvivenza di questo paesino è rinata ed ha portato un visibile benessere a tutti i suoi abitanti. E loro, i discendenti da ebrei che cinquecento anni prima erano stati costretti a convertirsi ma avevano scelto di mantenere viva la luce della loro fede più antica, possono di nuovo chiamare un rabbino per celebrare le feste ebraiche in una sinagoga.

Questo succede nell’Europa globalizzata, unita, multiculturale o multietnica o multireligiosa comunque la si voglia definire: questo nuovo episodio non fa che aggiungere un tassello al mistero che avvolge la capacità di sopravvivenza degli ebrei. Qualcuno lo può chiamare miracolo. Io molto più prosaicamente mi sento incoraggiato a sperare anche per il futuro. Se non c’è riuscito Torquemada, se non c’è riuscito Hitler, non sarà di certo un banalissimo e modestissimo Ahmadinejad a riuscirci.

 

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