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Sette anni dopo la morte del ragazzo di Gaza ripresa da un cameramen di France 2, la cui colpa venne imputata ad Israele, l’ufficio del Primo Ministro ha emesso il primo documento ufficiale in cui dichiara che la ripresa filmata dell’incidente in realtà era stata inscenata. Il reporter francese difende il proprio filmato, definendolo “autentico”. (Ronny Sofer YNET Published: 10.01.07, 22:16 / Israel News – www.ynetnews.com/articles/ 0,7340,L- 3455496,00. html)

Sette anni dopo la morte del ragazzo palestinese Muhammad al-Dura, avvenuta a Gaza, l’ufficio del Primo Ministro denuncia il “mito dell’omicidio”. Un documento ufficiale emesso da Gerusalemme nega, per la prima volta, la responsabilità di Israele riguardo alla morte di al-Dura avvenuta all’inizio della seconda Intifada. Il documento discute sul fatto che le immagini, divenute uno dei simboli della seconda Intifada, dove al-Dura, colpito dagli spari, viene ripreso accanto al padre, siano in realtà una messa in scena.

“La creazione del mito di Muhammed al-Dura ha causato grossi danni allo Stato di Israele”. Si tratta di un’esplicita diffamazione, un vero libello di sangue divulgato contro lo Stato, “E se in passato simili accuse causarono i pogroms, oggi questa calunnia ha causato dozzine di morti, e un gravisimo danno” dichiara il direttore dell’Ufficio Stampa del Governo Daniel Seaman.

La discussione si fonda sulle indagini che dimostrano come la traiettoria del fuoco delle truppe IDF non possa avere colpito il ragazzo o suo padre, come parte del materiale filmato, ed in particolare il momento della presunta morte del ragazzo, sia andato perduto, e come il cameraman abbia udito la notizia della morte del ragazzo, mentre in realtà lo aveva visto muoversi.

Il 30 settembre 2000, secondo giorno di Intifada, il dodicenne Muhammad al-Dura stava accompagnando il padre ad acquistare un’automobile, quando i due si ritrovarono nel mezzo di un violento scontro a fuoco in corso tra l’IDF ed alcuni guerriglieri palestinesi.

L’evento perdurò per circa 45 minuti, 27 dei quali vennero filmati dal cameramen palestinese Talal Abu Rahma, in servizio per la rete televisiva France 2.

Charles Enderlin, redattore capo di France 2 a Gerusalemme, che non era presente al momento del fatto, mise in onda un servizio in cui si accusavano i militari dell’IDF di essere coinvolti nell’incidente e di avera causata la morte del ragazzo e il ferimento del padre.

Il servizio venne esaminato varie volte nel corso degli anni, e da quattro approfondite inchieste giornalistiche emerse come non esistesse una chiara evidenza che il ragazzo fosse stato colpito dai soldati israeliani. Alcune indagini si basavano sul calcolo della traiettoria di tiro che avrebbe colpito il ragazzo e il padre, proveniente con maggiore probabilità dalle armi palestinesi.

Durante gli ultimi sette anni, Israle ha preferito non scontrarsi con la più popolare TV francese, ma seguendo le continue richieste del centro legale israeliano Shurat HaDin, il primo documento ufficiale, firmato dall’Ufficio Stampa Governativo, è stato emesso la scorsa settimana.

Il documento discute sul fatto che, basandosi sulle indagini, la morte del ragazzo venne in realtà inscenata dal cameraman di France 2 Talal Abu Rahma. France 2 ha definito le accuse come “assurdità”.

In una lettera indirizzata al Shurat HaDin, Seaman scrive “Ne risulta che gli eventi non possono essersi svolti come descritto dal reporter Charles Enderlin, in quanto sarebbero in contraddizione con le leggi della fisica”, inoltre “ non sarebbe stato comunque possibile colpire il ragazzo e il padre nel luogo dove, secondo il reportage, erano nascosti”.

Tuttavia, a seguito della consulta con il procuratore generale Menachem Mazuz, il direttore dell’Ufficio Stampa del Governo ha deciso che Israele non muoverà accuse penali contro i reporters di France 2, nè revocherà loro i permessi giornalistici rilasciati a Gerusalemme.

Nella sua lettera inviata al Shurat HaDin, Seaman afferma di avere ricevute istruzioni dal procuratore generale per trattare la questione “nel contesto dei media, e non nel contesto penale”. La presidentessa del Shurat HaDin Nitzana Darshan-Leitner dichiara di non accettare la posizione dell’Ufficio Stampa. “Il Shurat HaDin prevede di continuare ad agire nell’intento di fare luce sulla verità”, ella afferma.

“Fra le altre cose, prevediamo di appellarci alla Corte Suprema di Giustizia e di chiedere che i permessi giornalistici e le altre certificazioni rilasciate dall’Ufficio Stampa siano revocate a tutta la troupe di France 2 che opera in Israele, giornalisti, cameramen, produzione ecc., così come la tv francese non possa annunciare pubblicamente che il servizio della morte al-Dura venne messo in scena per influenze esterne.

Inoltre, lo Shurat HaDin sta considerando di reclamare i molteplici danni causati dal reportage, e in particolare la serie di offensive e rivolte da esso generate. Questo libello di sangue di epoca moderna, ha causato la morte di centinaia di arabi ed ebrei, ed ha acceso l’odio unicamente per una mira giornalistica di basso livello. Noi chiederemo che i responsabili di questo crimine paghino per queste morti”.

Charles Enderlin, il reporter di France 2 che opera tuttora in Israele, risponde affermando che “non è la prima volta che Seaman muove accuse contro di me, ed è un’assurdità, una pura maldicenza. Il video da noi realizzato è autentico, ed io ne prendo atto. Noi prevediamo di mostrare il filmato in un tribunale francese, e sono certo che sarà la fine di questa diffamazione” afferma il reporter francese.

[b]Traduzione dal inglese a cura di Elisa Mino Colombo[/b]

[b]E dal sito dell'Informazione Corretta: [/b]

[b]Il TGCOM informa correttamente riguardo il caso di Mohammed Al-Dura a questo URL: . [/b]

[b]"M.O., mito bimbo-martire era falso". Dopo 7 anni: filmato costruito ad hoc"

Ecco l'articolo:[/b]

Sette anni dopo la diffusione delle immagini della sua fucilazione col padre sotto una pioggia di proiettili, il mito del bambino palestinese martire crolla. E si scopre che il filmato, mandato in onda su France 2, di Mohammed Al-Dura, fu costruito ad hoc per incolpare gli israeliani. La verità emerge da un tribunale francese per il quale l'operazione servì a giustificare l'inizio della 2° Intifada. Il bimbo pare ancora vivo.

Come rivela sul Giornale, la corrispondente Fiamma Nierestein, che all'epoca si occupò della vicenda, i 59 secondi dell'episodio, mandati in onda dalla tv pubblica francese France 2, furono un'operazione di taglia e cuci studiata a tavolino sotto un'abile regia politica.

Ma poiché le bugie hanno le gambe corte, sette anni dopo, in nome della correttezza dell'informazione, un tribunale francese ritorna sul caso e intima all'emittente di consegnare tutto il materiale, il filmato completo. E, dopo questa mossa, Dani Seaman, il direttore del Press Office israeliano, colui che accredita i giornalisti in Terra Santa, esce allo scoperto e dichiara che il video fu un falso.

Così ora France 2, che finora si era sempre rifiutata di farlo, dovrà consegnare alle autorità tutto il filmato (27 minuti complessivi), girato dal cameraman arabo Abu Rahman.

Nel video si assisteva allo scontro a Netzarim, dove da una parte alcune migliaia di palestinesi assaltarono un posto di guardia israeliano e, dall'altra, la risposta dei soldati dello stato ebraico. Nelle immagini si vedevano addossati ad un muro padre e figlio investiti da una vera e propria fucilazione. Il bimbo, che sembrava fosse stato ucciso, divenne proprio grazie al quel filmato, il simbolo del martire innocente.

Il suo nome venne invocato in varie altre circostanze: quando fu assassinato il giornalista Daniel Pearl, in un video in cui Bin Laden reclutava combattenti e nel video-testamento della terrorista suicida Wafa al-Samir.

Ma ora si scopre che gli israeliani non potevano aver colpito il bambino perché erano in posizione laterale, mentre i colpi sono stati sparati frontalmente (quindi forse dagli stessi palestinesi). E poi, in tutto il filmato, non si vede una goccia di sangue.

Ora, dopo sette anni di indagine, la verità sta finalmente venendo a galla.

D[b]al GIORNALE del 4 ottobre 2007
Un articolo di Fiamma Nirenstein
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«Crolla il mito del bimbo martire dell'Intifada»
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Quando il 30 di settembre verso sera giunsero le immagini dal posto di difesa dell’insediamento di Netzarim nella Striscia di Gaza, chiamai il giornale: «France2 ha mandato in onda 59 secondi di immagini in cui si vede un bambino palestinese, che si chiama Mohammed Al-Dura, morire tra le braccia di suo padre. Sono immagini terribili. Come è stato ucciso? In uno scontro a fuoco fra palestinesi e israeliani». E così è scritto nel mio pezzo che apparve sul giornale del giorno dopo. Non era difficile capire allora, nonostante le affrettate, affannate scuse dell’esercito israeliano, che non era affatto evidente a un giornalista che Mohammed Al-Dura fosse stato ucciso, in quei primissimi giorni dell’Intifada, mentre tramontava nel mare del terrorismo suicida il sogno degli accordi di Oslo. Bastava guardare con gli occhi, e non con il caleidoscopio dell’ideologia, per capire che le cose erano quanto meno incerte. Ma soltanto oggi, sette anni dopo, ora che Dani Seaman il direttore del “press office” israeliano a cui tutti i giornalisti si rivolgono per l’accredito, sostiene che quei 59 secondi sono stati fabbricati ad arte. Questa dichiarazione messa per iscritto, segue la decisione di un tribunale francese che ordina a France2, in seguito al ricorso di Philippe Karsenty, presidente di Media Ratings, un gruppo che controlla l’accuratezza dell’informazione, di mostrare tutto il materiale, 27 minuti, girato dal cameraman arabo Abu Rahman il primo di ottobre. Charles Enderlin, il titolare di France2, si era sempre rifiutato di consegnare la pellicola, e in prima istanza il tribunale gli aveva dato ragione. Adesso, la storia aspetta all’angolo. Per quel video, infatti, non si tratta più di cronaca, ma di storia.
Lo scontro di Netzarim vedeva da una parte alcune migliaia di palestinesi che presero d’assalto il posto di guardia israeliano, e la risposta israeliana. Nel video si vede, addossato a un muro che presto sarà crivellato di pallottole, Jamal Al-Dura assieme a suo figlio Mohammed. Jamal cerca inutilmente di coprire il ragazzino col suo corpo. I 59 secondi della tv francese assieme al sonoro di Enderlin indicavano una sorta di autentica fucilazione, protrattasi per lungo tempo, di un bambino innocente. Al-Dura diventò immediatamente il simbolo della seconda Intifada, la ragione vera per cui, poiché indicava e incarnava la crudeltà israeliana, ogni piano di pace era stato rotto. Al-Dura divenne l’icona, il martire per eccellenza, la ragione per cui non si poteva fare nessuna pace con Israele, la piccola figura agonizzante sulle ginocchia del padre divenne manifesto, francobollo, urlo di guerra nelle manifestazioni.
Due settimane dopo, due soldati israeliani entrarono per sbaglio a Ramallah, la folla li catturò, li fece a pezzi dopo averli trascinati in una stazione di polizia, i corpi vennero smembrati e trascinati con urla di vendetta e inni ad Al-Dura. Quando il giornalista Daniel Pearl fu assassinato, i rapitori invocarono il nome di Al-Dura. Anche Bin Laden ha invocato il suo nome in un video di reclutamento. La terrorista suicida Wafa Al-Samir nel giugno del 2005 si diresse all’ospedale infantile israeliano di Beersheva per farsi esplodere dopo aver detto di volere uccidere quanti più bambini possibile per vendicare Al-Dura. In Giordania, Egitto, Tunisia, sono stati stampati francobolli con la sua immagine. L’Autorità Palestinese ha spesso usato il nome di Al-Dura indicandolo come un esempio di martire ai bambini.
Adesso, ciò che sostanzialmente risulta chiaro, se non tutta la dinamica della vicenda, è che l’angolo da cui sono state sparate le pallottole è completamente diverso da quello in cui si trovavano i soldati, che erano in posizione laterale mentre i fori sono frontali; che i frammenti di cui è costruita la pellicola sono sette e che l’ultimo segmento mostra due dita che indicano un «take two», una seconda ripresa della morte del bambino, a cui molti non credono più. Sono diversi infatti a ritenere non solo che Al-Dura non sia stato ucciso dagli israeliani, ma che non sia affatto morto. Anche i vari cambiamenti di posizione della supposta vittima sono ormai causa di attenzione particolare. Un altro elemento sottolineato dagli osservatori, è che non si vede in tutto il film una sola goccia di sangue, anche se il padre ha parlato di numerose ferite subite anche da lui stesso. Shlomi Pereg, uno dei soldati che era sul posto, semplicemente sorride all’idea che uno dei suoi compagni abbia potuto sparare volontariamente su un bambino prendendolo di mira per tanti minuti: «Ci venivano addosso a centinaia con pietre e bottiglie molotov. Da dietro, qualcuno sparava. Se qualcuno fosse così pazzo da volere uccidere un ragazzino, ce n’erano a bizzeffe davanti a noi, cercavamo appunto di respingerli senza colpirli. Io personalmente non ho visto il padre e il figlio nascosti dietro il muro, certo erano in una posizione molto più esposta al loro fuoco che al nostro». Forse solo la pellicola che Enderlin dovrà mostrare dirà la verità. Sapremo innanzitutto se Mohammed è morto o se, come dice Nahum Shahaf (uno scrittore che ha ricostruito il caso, così come tanti altri giornalisti, storici, politici), lavora al mercato di Gaza, o semplicemente chi l’ha ucciso in quello scontro a fuoco.
Quello che sappiamo di certo e che distrugge l’onore stesso del giornalismo, è la consueta corsa alla condanna di Israele che abbiamo già visto. Come a Jenin, quando molti si affrettarono a scrivere che Israele aveva ucciso migliaia di persone, mentre si trattava di circa cinquanta palestinesi contro trenta soldati israeliani, uccisi in coraggiosi corpo a corpo casa per casa, oppure in Libano a Kfar Khan-a, dove i blogger hanno scoperto che la messa in scena di una strage mai compiuta era stata immediatamente presa per buona. Basta che il colpevole sia Israele.

 

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