Iran, la guerra e Israele
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[b]Da La Repubblica del 26 settembre 2007, pag. 1
Autore : Lucio Caracciolo
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La guerra all'Iran non è affatto inevitabile. E gli euÂropei possono giocare un ruolo fondamentale per impeÂdirla, sostenendo nuove e più dure sanzioni contro Teheran.
Su questa linea si sta muovendo la diplomazia israeliana. L'analisi di Gerusalemme è che le sanÂzioni cominciano a funzionare. Sull'economia e sulla finanza iraniana si sta stringendo la morsa.
Soprattutto, le principali imprese energetiche mondiali stanno rinunciando a nuovi affari in Iran. A risentire della stretta, oltre alla popolazione innocente, sono i conti in banca di alcuni esponenti dell'elite clerico-militare persiana – gente assai sensibile al portafoglio. Ma non basta. Occorre un ulteriore giro di sanzioni, sufficientemente drastiche da convincere il regime di Teheran a rinunciare alla bomba atomica in cambio del via libera al nucleare civile e alÂla garanzia che gli Stati Uniti non attaccheranno l'Iran.
La speranza israeliana è che le incrinature che già minano l'opaco establishment persiano inducano la Guida suprema Khamenei, d'intesa con Rafsanjani e altri leader pragmatici, a riportare Ahmadinejad e i suoi pasdaran alla ragione, in nome del supremo interesse nazionale. O meglio, della necessità di sopravvivenza del regime, isolato dalle maggiori potenze e costretto a fronteggiare l'insofferenza dell'opinione pubblica, compreso lo strategico "popolo dei bazar". Negli ultimi mesi la stretta repressiva sui media e su persone e organizzazioni considerate inaffidabili è diventata asfissiante. Chi può scappa alÂl'estero.
Per mettere all'angolo i mullah e i pasdaran più irriducibili, gli esperti di Gerusalemme suggeriscono un ventaglio di misure dirette a colpire frontalmente tanto l'economia che il prestigio del paese. Sul primo fronte, non bastano i vincoli al siÂstema bancario e all'industria, comunque da inasprire. Per colpire al cuore il regime bisogna bloccare le importazioni di benzina. Infatti, a causa delle limitate capacità di raffinazione, l'Iran – al secondo posto nel mondo per riserve accertate di peÂtrolio e gas – è costretto a comprare all'estero una quota crescente di prodotti petroliferi. Con effetti devastanti sui suoi conti pubblici (e privati). Sul secondo fronte, si potrebbe arriÂvare a sanzioni di grande impatto simbolico, come l'esclusioÂne dalle competizioni sportive internazionali o il ritiro degli ambasciatori.
E' molto improbabile che il Consiglio di Sicurezza dell'Orni trovi l'intesa su misure tanto drastiche, non fosse che per l'opÂposizione della Russia. Ma se gli Stati Uniti e le principali potenze europee fossero d'accordo, potrebbero procedere coÂmunque con loro sanzioni. Americani e israeliani confidano di aver già imbarcato inglesi, francesi e forse tedeschi. Molto più spinosi i casi italiano e spagnolo. L'Italia considera di aver già fatto enormi sacrifici, aderendo a un regime punitivo che colÂpisce i nostri cospicui interessi economici (energetici) nella Repubblica islamica. Per spingerci oltre, dovremmo essere inÂtegrati in un'iniziativa di tuttal'Unione Europea, con un manÂdato esplicito a Solana. Al quale spetterebbe di segnalare ai suoi interlocutori iraniani che se il negoziato fallisse l'attacco americano sarebbe inevitabile. E devastante.
L'alternativa è passare subito dalle sanzioni economiche a quelle militari: ossia al bombardamento americano dell'Iran. E non fra qualche anno, ma nel giro dei prossimi mesi, come vorrebbero Cheney e i neoconservatori più scatenati. I quali sono da sempre arciconvinti dell'inutilità di qualsiasi approcÂcio non militare alla sfida persiana. Sicché puntano al rovesciamento del regime più che a bloccare provvisoriamente il programma atomico iraniano. "Non possiamo bombardare l'Iran ogni anno", spiegano.
L'approccio neocon non convince Gerusalemme. Gli israeÂliani sono più pragmatici nel loro approccio all'Iran. Certo sperano che il regime di Teheran possa essere rovesciato. Ma non è questa la priorità : molto più urgente – e fattibile – è impedire che Ahmadinejad e i pasdaran che lo sostengono sviluppino un'arma atomica capace di colpire Israele e di scatenare una proliferazione nucleare selvaggia in tutta l'area. Dall'Arabia Saudita all'Egitto, dalla Siria alla Turchia e all'Algeria, gli aspiÂranti non mancano. Israele, potenza nucleare non dichiarata, si troverebbe nell'occhio del ciclone scatenato dalla contesa arabo-persiana (sunnita-sciita) sull'egemonia nel Golfo e nell'intero Medio Oriente.
Allo stesso tempo, i pianificatori strategici israeliani consiÂderano la guerra all'Iran come l'opzione estrema, possibilmente da evitare. Perché i rischi per lo Stato ebraico sarebbeÂro immediati e incalcolabili: da eventuali missili iraniani che sfuggissero agli strike Usa ad attentati kamikaze palestinesi ai razzi di Hizbullah, per tacere di Hamas a Gaza. Ammesso che l'esperimento militare suggerito da Cheney possa funzionare, in ogni caso gli israeliani ne sarebbero le prime cavie.
Il tempo è comunque stretto. Gli esperti israeliani sostengoÂno che entro i prossimi 6-9 mesi gli ingegneri iraniani dovrebÂbero rimediare ad alcuni errori e problemi tecnici che hanno ritardato il processo di arricchimento dell'uranio destinato a produrre il materiale bombabile sufficiente per una o più teÂstate nucleari. E' poi possibile che gli iraniani contino anche su forniture nordcoreane per rendere ancora più stringenti i temÂpi della marcia all'atomica. La prima Bomba potrebbe essere in linea nel 2010, le altre a seguire al ritmo di una l'anno.
Uno scenario intollerabile per Stati Uniti e Israele, ma anche per gli arabi e gran parte delle (im) potenze europee. Sicché, se le nuove sanzioni non funzionassero, è difficile immaginare una marcia indietro americana. La partita sarebbe troppo avanzata: ritirarsi significherebbe perdere la faccia. Piuttosto, Bush potrebbe sentirsi costretto a rischiare l'avventura. A meÂno che non sia lo stesso Ahmadinejad a provocarlo, se il suo Dio glielo suggerirà .
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