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[b]Dal GIORNALE del 28 agosto 2007
Autore: R.A. Segre – Gian Micalessin[/b]

«Si vis pacem para bellum». Israele sembra finalmente aver capito che la guerra ormai non si vince più sui campi di battaglia ma solo su quelli dell’immagine. Del resto, nel nuovo contesto bellico asimmetrico perfino le operazioni di guerra tradizionale perdono il loro nome diventando «missioni di pace», anche se in esse i soldati continuano a morire come prima.

Lo dimostrano due fotografie pubblicate ieri in esclusiva dal quotidiano israeliano Yediot Aharonot: una mostra una nuova «bomba intelligente» creata dall’industria militare iraniana. L’altra fotografia mostra la costruzione di un bunker antiatomico in Israele.
La fotografia della «bomba intelligente», pubblicata in seconda pagina, è accompagnata dal commento del ministro della Difesa di Teheran, Moustafa Mohammed Nagr: «La useremo contro qualsiasi nemico che penetrasse nel nostro spazio aereo». La bomba del peso di 900 chilogrammi è considerata in Israele una «bomba sporca», che unisce esplosivo classico con materiale nucleare. Essa fa parte del programma nucleare e missilistico iraniano e il messaggio che vuol mandare a Israele è chiaro come del resto vuole essere la risposta dello Stato ebraico. Risposta che non può più essere offensiva, ma solo difensiva e cioè la riconquista di un deterrente credibile e quindi psicologico. Deterrente perduto nella seconda guerra del Libano che è anche stata la prima guerra missilistica che Israele ha dovuto affrontare. Lo testimoniano i boschi bruciati di Galilea che posso vedere dalla finestra del mio albergo nel cuore di questa idilliaca regione a ridosso della frontiera libanese e delle alture del Golan. Questi boschi bruciati danno un profondo significato alle altre fotografie pubblicate dal giornale. Sono quattro foto che occupano la prima, la seconda e la terza pagina del quotidiano. Mostrano l’entrata di una galleria a sua volta occupata da reti di impalcature per la costruzione, «in qualche parte sotto i monti di Gerusalemme», del bunker antiatomico in cui si insedieranno i responsabili politici e militari di Israele in caso di pericolo di offensiva nucleare nemica.
Queste immagini, che non sembrano recenti, sono accompagnate da quello che l’ex comandante dell’Aviazione israeliana, il generale di riserva Eytan Ben Eliahu, ha detto alla stampa e cioè che la distanza fra Israele e i Paesi islamici in fatto di supremazia militare «si sta restringendo in maniera preoccupante».
Poiché nessuno ha ormai la possibilità di arrestare questo sviluppo offensivo islamico non c’è altra alternativa – come non lo fu per i due blocchi durante la Guerra Fredda – di rendere l’arma atomica inutilizzabile in quanto crea un equilibrio di impotenza che non permette ai contendenti di agire. L’esperienza della Guerra Fredda dimostra infatti che lo scontro può essere evitato solo creando nell’avversario la certezza che il nemico dispone della possibilità di lanciare «un secondo colpo» in caso di attacco. Nel caso specifico di Israele, persuadere l’Iran o altro avversario che nessun tipo di attacco potrà paralizzare la sua reazione nucleare. La quale sarebbe spaventosa per tutti, ma soprattutto per chi minaccia la distruzione dello Stato di Israele. Una minaccia che qui viene presa molto seriamente dopo l’esperienza della Shoah.
Se il presidente iraniano Ahmadinejad sembra non rendersene conto, la prudenza con cui gli hezbollah (che sono la lunga mano di Teheran in Libano) si stanno muovendo è sorprendente per chi li conosce – mi dice un personaggio dell’intelligence, che da anni segue quanto sta succedendo al di là della frontiera settentrionale di Israele -. Il vero pericolo non sta perciò nello sviluppo del potenziale bellico islamico, nucleare incluso. Il pericolo – come durante la Guerra Fredda – sta nella possibilità di un incidente non pianificato. Evitarlo in epoca di guerra asimmetrica, con le capacità materiali ed elettroniche distruttive del terrorismo, diventa più difficile che in passato.

[b]La cronaca di Gian Micalessin (a pagina 11):[/b]

Chi ci ha messo piede lo descrive come un antro tanto ampio e profondo da mettere soggezione. Sta nascendo sotto gli occhi di tutti, ma pochi a Gerusalemme hanno capito cosa sia. Pochi hanno realizzato che sulle montagne sopra la Città Santa sta sorgendo il primo immenso rifugio capace di resistere a un attacco atomico. La «grande paura» israeliana non è semplice suggestione. Nessuno – neppure il Mossad – è riuscito a penetrare il velo di segretezza che circonda i progetti nucleari di Teheran. Neppure le spie israeliane di discendenza persiana infiltrate nella Repubblica islamica hanno scoperto se Teheran sia prossima all’obiettivo o abbia bisogno di molti anni per assemblare il primo ordigno nucleare.
Gli indizi che fanno temere il peggio non mancano. Qualche giorno fa i portavoce militari di Teheran hanno annunciato l’entrata in servizio di una bomba intelligente da circa 900 chili. I missili Shahab 4, entrati in produzione da tempo, continuano a venir perfezionati e sono in grado di trasportare testate sempre più potenti fino ai confini dello Stato ebraico. Per premunirsi i vertici politico militari di Israele hanno deciso di costruire un super bunker capace di proteggere il governo e i responsabili delle forze di sicurezza.
Non è un progetto da poco. Per rendersene conto basta alzare gli occhi alle montagne. La strada costruita per far passare gru, trivelle, attrezzi e lavoratori specializzati consente il transito di due grossi camion affiancati. Ma per capire la maestosità del progetto, spiegano i pochissimi che ci hanno buttato un occhio, bisogna entrarci. «Là dentro è immenso, sembra di stare in un film, t’incute paura e soggezione soprattutto se pensi che da lì sarà possibile controllare l’intero Paese – ha raccontato a Yediot Ahronot, il più diffuso quotidiano israeliano – un esponente del governo reduce da una visita al sito.
L’enorme cellula di roccia, acciaio e cemento capace di preservare i vertici dello Stato ebraico e risparmiarli dall’inverno nucleare costerà oltre 200 milioni di euro e non verrà terminata prima di quattro anni. In caso di attacco nucleare il primo ministro non dovrà neppure preoccuparsi di salire in macchina o in elicottero. Pochi secondi dopo l’allarme verrà sospinto nei tunnel blindati scavati sotto gli uffici del governo e sotto la residenza di Gerusalemme e scortato al bunker atomico. Israele punta però a mantenere la massima segretezza sugli snodi interni della costruzione, sulla dislocazione delle sale e sulle varie misure di sicurezza capaci di garantire l’incolumità assoluta ai suoi ospiti.
La costruzione è stata affidata a quattro aziende leader a livello mondiale in quel tipo di fabbricati. Quando si è trattato di scegliere la manodopera il governo ha però imposto condizioni inderogabili. Chiunque abbia accesso al cantiere e ai progetti, dal primo architetto e ingegnere fino all’ultimo manovale, dev’essere di religione ebraica. I lavoratori assunti sono stati poi passati al vaglio da Mossad e Shin Bet per verificarne parametri d’affidabilità e credenziali di sicurezza.
A livello strategico il bunker viene considerato la risposta israeliana ai piani iraniani. La dottrina sembra la stessa della «guerra fredda», quando Urss e Usa facevano capire all’avversario di poter sopravvivere al primo attacco nucleare e rispondere con un colpo altrettanto devastante. In questo caso il secondo colpo di Israele sarebbe ben più che devastante e capace con ogni probabilità di incenerire l’avversario. Teheran per ora non sembra tirarsi dietro. La bomba intelligente, ultima creatura iraniana sul terreno della reciproca deterrenza, è stata battezzata Qased ovvero «messaggero».
Il messaggio affidato alla testata lo ha illustrato il ministro della Difesa iraniano Mostafa Mohammad Najjar: «Soltanto un numero limitato di Paesi – ha detto – possiede la tecnologia necessaria per costruire e utilizzare una bomba a guida intelligente e noi siamo uno di quelli». L’Iran insomma si sente grande potenza, non teme rivali ed è pronto allo scontro persino con Israele.

www.ilgiornale.it

 

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