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[b]Dall'Opinione del 20-07-2007

Prove e testimonianze smentiscono la tesi alla base della politica estera italiana con Damasco

Un pentito: “Dietro i piani di Fatah al Islam ci sono i servizi segreti siriani”

di Stefano Magni
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C’è ancora qualcuno che crede nel ruolo pacificatore del regime di Damasco in Libano? Forse solo il nostro governo, visto che la Farnesina, in occasione della visita di D’Alema a Damasco,

il 4 giugno scorso pubblicava una nota ufficiale in cui si spiegava che: “L’Italia intende svolgere un ruolo efficace in un percorso negoziale che coinvolga Damasco ed incoraggi il Governo siriano ad adoperarsi per la pacificazione della regione, con particolare riguardo alle relazioni siro-libanesi, alla soluzione della crisi politica interna in Libano, al processo di pace israelo-palestinese ed alla stabilizzazione e pacificazione dell’Iraq”. Il 5 giugno scorso D’Alema affermava che: “Anche la Siria è interessata alla stabilità politica a Beirut. In questo momento il pericolo per tutti è rappresentato da al-Qaeda”.
Sul serio il pericolo per tutti è rappresentato da Al Qaeda? Anche per il regime di Damasco? Proprio in questi giorni, mentre l’esercito regolare libanese sta finendo di ripulire le postazioni di Fatah al Islam nel campo profughi di Nahr el Bared, emergono sempre più prove e testimonianze a favore della tesi opposta: è la Siria ad alimentare la formazione di guerriglia islamista vicina ad Al Qaeda. “Dietro i piani di Fatah al Islam ci sono i servizi segreti militari siriani” aveva dichiarato il 18 luglio un disertore del gruppo guerrigliero in un interrogatorio al tribunale di Beirut, come riportato dal noto quotidiano arabo Al Sharq al Awsat. Secondo l’ex guerrigliero pentito, l’intelligence siriana era perfettamente a conoscenza dei piani di Fatah al Islam che, stando alla testimonianza di alcuni prigionieri catturati alla fine di maggio dai regolari libanesi, prevedevano anche la distruzione del tunnel sull’autostrada tra Beirut e Tripoli, l’isolamento del Nord del Libano e la costituzione nell’area di uno Stato islamico autonomo. Con buona pace di chi sostiene che la Siria sia uno Stato laico nemico degli integralisti, il regime di Damasco avrebbe dunque appoggiato la creazione di un nuovo emirato, simile a quello creato a Gaza da Hamas. “Ci hanno inoltre aiutato ad entrare dalla Siria in Libano clandestinamente attraverso un valico non controllato e in un posto lontano dalle guardie di frontiera” spiega ancora il pentito, sottolineando quanto fosse profonda questa collaborazione siriano-qaedista. Queste dichiarazioni sono confermate da prove. L’ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite, Zalmay Khalilzad, ha denunciato ieri “trasferimenti di armi ai gruppi terroristi” in Libano lungo il confine siriano. “Ci sono le prove sui preparativi di gruppi come Fatah al Islam e il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina/Comando Generale. Ci sono anche armi che arrivano per gli Hezbollah”. Nonostante il ministro degli esteri siriani neghi tutto e affermi che le tesi sul contrabbando delle armi provengano solo da fonti di intellingence israeliane, il rapporto Onu sul traffico di armi è basato quasi interamente su fonti governative libanesi. Ed è sempre dal Libano che, dal 20 maggio scorso (cioè da quando è iniziata la guerriglia metropolitana di Tripoli e Nahr el Bared) sono partite le denunce sull’ingerenza militare di Damasco.
Il dittatore siriano Assad ha realmente interesse nella stabilità del Libano? Sicuramente sì, ma a modo suo. Come ha dichiarato in occasione del suo incontro con il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, il 24 aprile scorso: “Il Libano ha conosciuto il periodo più pacifico della sua storia quando vi si trovavano le forze siriane, dal 1976 al 2005. Allora il Libano era stabile, ma ora vi regna una grande instabilità”. Questa è l’unica stabilità che la Siria accetta: quella della sua occupazione militare.

 

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