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[b]Dal FOGLIO del 5 luglio 2007:[/b]

Gerusalemme. La strategia di Israele per rafforzare l’Anp di Abu Mazen viaggia su due binari: quello dei raid militari nella Striscia di Gaza –

l’ultimo ieri ha causato la morte di undici miliziani islamici e il ferimento di un cameraman di al Jazeera – e quello dell’appeasement con la Cisgiordania di Fatah. Domenica, il Parlamento israeliano esaminerà la lista preparata dall’ufficio del premier dei 250 prigionieri del partito del presidente palestinese, Abu Mazen, che potrebbero essere liberati. Ehud Olmert, in segno d’appoggio all’esecutivo d’emergenza del rais, ha promesso al recente summit di Sharm el Sheik il rilascio di detenuti “senza le mani sporche di sangue”. E’ difficile pensare che tra loro possa esserci Marwan Barghouti, leader dei Tanzim, milizia di Fatah attiva durante la seconda Intifada, in carcere dal 2004, condannato per omicidio a cinque ergastoli più 40 anni. Il quotidiano Haaretz considera che sia “giunto il momento di liberarlo”. “Ora che Gaza è caduta nelle mani di Hamas nessuno sforzo deve essere risparmiato nel tentativo di salvare la Cisgiordania dall’estremismo”, è la tesi del giornale. Mai come in questi giorni l’opzione Barghouti è stata tanto discussa. Gli ultimi sviluppi a Gaza potrebbero influire. Hamas s’è presa il credito per la liberazione del giornalista britannico Alan Johnston e l’ex premier Ismail Haniye ha già parlato di un possibile accordo sul soldato israeliano Gilad Shalit, rapito l’anno scorso. Nei mesi passati si mormorava di un’intesa tra il movimento islamista e Israele per lo scambio di 450 detenuti, importanti membri di Hamas. Scrive Talal Okal sul palestinese al Ayyam che “la possibilità di gestire il dossier Shalit dopo il successo con Johnston mira a mostrare ai palestinesi come Hamas sia capace di liberare un largo numero di prigionieri” mentre Abu Mazen ancora non riesce a ottenere i 250 di Sharm el Sheik.
Khader Shkirat è l’uomo che in questi cinque anni ha incontrato con regolarità il prigioniero Marwan. E’ il suo avvocato. Siede in giacca e cravatta, fumando senza interruzione, nell’ufficio di una delle poche altre persone che vedono spesso il detenuto: Kadoura Fares, compagno di militanza in Fatah e presidente dell’associazione per i prigionieri palestinesi. Per l’avvocato, Barghouti è l’arma contro la mancanza di leadership che impera nei Territori dalla morte di Yasser Arafat. “C’è un vuoto da riempire – dice al Foglio – specialmente oggi con il collasso dell’Autorità nazionale. E’ lui l’unico a poter colmare il divario tra Fatah e Hamas”. Barghouti, nonostante il carcere, è attivo politicamente e spesso agisce da motore di alcune delle iniziative più importanti degli ultimi mesi: il documento di riconciliazione dei prigionieri, firmato da leader detenuti delle principali fazioni palestinesi, tra cui Hamas, e l’accordo della Mecca che ha portato a febbraio alla formazione del governo d’unità nazionale. Shkirat non vede però segnali reali da parte d’Israele, solo dichiarazioni. “Il rilascio di Marwan è importante anche per gli israeliani – ci spiega – perché è lui l’unico a poter guidare i palestinesi, ha consenso, il collasso dell’Anp va contro gli interessi d’Israele. L’alternativa è il caos totale e la divisione tra Gaza e Cisgiordania”.

L’eredità della leadership di Arafat
Due israeliani su tre si oppongono al rilascio. Per alcuni, invece, Marwan Barghouti è l’unico che può tenere testa a Hamas e oggi che il movimento islamico ha creato la rottura tra Gaza e la Cisgiordania non esisterebbe neanche più il rischio di un’attrazione fatale del leader verso la lotta armata di Hamas contro Israele. Barghouti nel 1996 era il segretario di Fatah sul territorio, capo della nuova guardia del vecchio partito. Accende speranze riformiste. Punta alla soluzione a due stati e riconosce Israele. C’è chi crede che, nel caso di liberazione, il suo ruolo non sarebbe ricucire tra Fatah e Hamas, ma riunificare il frantumato partito di Arafat. Kadoura Fares spiega al Foglio che a un livello non ufficiale esistono contatti con ministri israeliani che appoggiano il rilascio (secondo il quotidiano Maariv, Haim Oron, della sinistra di Meretz, sarebbe andato a trovare in carcere il palestinese con messaggi da parte di Olmert). Qualcuno è uscito allo scoperto. Il responsabile per l’Ambiente, Gideon Ezra, ha chiesto la liberazione dei prigionieri “con le mani sporche di sangue”, in segno d’appoggio a Fatah, e vuole Barghouti fuori. Nei mesi scorsi i tre candidati presidenziali, Shimon Peres, attuale leader, Colette Avital e Ruby Rivlin hanno fatto sapere che avrebbero potuto firmare la grazia al detenuto. Barghouti, per Israele, è una grossa carta da giocare, sia pure rischiando. “Alla fine lo libereranno”, giura Fares.

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http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=8&sez=120&id=21173

 

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