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[b]Israele. Guerra e Pace [/b]

AUTORE: AA.VV

PREZZO: € 12,90

FORMATO cm 20 X 28

CODICE ISSN: 1827-6393-7003

PERIODICO: Tra Storia e Cronaca, Giugno 2007

+ DVD, 4 ore di filmati storici originali dello “Steven Spielberg Archive of the Hebrew University of Jerusalem”

+ Libro, Democrazia e diritti umani in Israele di Giovanni Matteo Quer

Per capire la complessità del conflitto più discusso e meno conosciuto al mondo

Dei tanti conflitti che affliggono il mondo intero, solo sul conflitto arabo-israeliano tutti si sentono di poter affermare con sicurezza le ragioni dell’uno e i torti dell’altro. I media tengono gli occhi ben puntati e sembrano vedere di continuo la necessità di Israele di difendersi da ogni genere di accuse. Al contrario, applicano due pesi e due misure pretendendo da Israele una moralità ineccepibile e consentendo ai suoi avversari, siano essi gruppi terroristici o Stati sovrani, le più incredibili violazioni dei diritti elementari dell’uomo senza trovare nulla da criticare.

Con questa nostra pubblicazione desideriamo concorrere alla conoscenza della Storia, osservando da vicino le ragioni di Israele, spesso dimenticate in nome di un buonismo malinteso p peggio in nome di una pregiudiziale ostilità.

Ci è di conforto l’uscita proprio in questo periodo, di tre libri utili a riconsiderare i luoghi comuni e i pregiudizi: Viva Israele di Magdi Allam, che afferma “la difesa del valore e della sacralità della vita coincida con la difesa del diritto di Israele all’esistenza”; Israele siamo noi di Fiamma Nirenstein, che sostiene “la minaccia che sovrasta Israele incombe su tutta la civiltà occidentale e rifiutarsi di comprenderlo significa non voler vedere il futuro che ci attende”; Fascismo islamico di Carlo Panella, che invece invita a riconoscere “l’esistenza di un Islam totalitario e intriso di culto della morte, per non rivivere la Storia e rendere la pace in Medioriente un’utopia”.

Di recente, il presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, ha lanciato un messaggio chiarissimo: “Spesso un antisemitismo latente si maschera da antisionismo”, un vero monito a non investire Israele dei propri pregiudizi secolari che tanto dolore hanno causato culminando nella Shoah. Il richiamo del nostro presidente non è certo vano, soprattutto quando il presidente iraniano Ahmadinejad lancia continui appelli alla distruzione di Israele e alla necessità per il suo Paese di dotarsi dell’energia atomica, mentre prende piede uno sfrontato negazionismo dell’evidenza dello sterminio di 6 milioni di ebrei a opera del regime nazista.

L’ignoranza delle ragioni di Israele porta anche a non percepire i doni che la scienza e la tecnica di questo piccolo Paese, grande come la Lombardia e con solo 7 milioni di abitanti, sta offrendo al mondo. Solo con lo sviluppo dell’economia della regione e del benessere delle popolazioni nella democrazia potrà trionfare la pace. Perciò vorremmo dare un piccolo contributo con questo nostro lavoro informativo, come recita la nostra testata “per saperne di più… semplicemente”.

Andrea Jarach

Ciao

come saprai a Roma dal 4 al 12 Luglio si svolgeranno i giochi europei Maccabi (il più atteso evento ebraico dell'anno) Arriveranno per i giochi circa 2000 atleti (ragazzi e ragazze, per lo più dai 16 ai 35 anni), da 37 paesi del mondo….

"SABATO 7 LUGLIO – GRANDE PARTY DELLE MACCABIADI"

…. La più grande festa ebraica mai proposta in Italia…

Ingresso: EUR 20 (include 1 drink)

Location: …. per ragioni di sicurezza la location verrà resa nota all'ultimo minuto… uno dei locali più esclusivi di Roma.

Info e prenotazioni:

http://www.777roma.com+39 3476314137

Ti consiglio, se ti fa piacere partecipare, di prenotare con largo anticipo perchè i posti disponibili non sono moltissimi (considera che quasi 2000 sono riservati agli atleti e ai supporters dall'estero!).

Ti posso chiedere un favore?! Se hai amici o conoscenti potresti avvisarli di questa serata (sopratutto quelli che di solito non partecipano agli eventi ebraici…)?

Grazie,

Lo staff di 777roma.com

http://www.777roma.com

La benedizione di un cuore spezzato – Sherri Mandell

Giuntina Euro 14

Come può una madre continuare a vivere quando il bene più prezioso, suo figlio, le viene strappato nel modo più brutale e atroce?

Come è possibile lapidare un ragazzino innocente di tredici anni?

E’ un pensiero che turba e sconvolge la coscienza di ogni essere umano.

Ma i terroristi palestinesi che hanno massacrato a colpi di pietre, l’8 maggio 2001, Koby Mandell e il suo amico Joseph Ish-Ran non possono essere considerati essere umani.

Non esiste alcuna giustificazione per un gesto così orribile.

In questo libro straziante la madre di Koby, Sherri Mandell, racconta la sua tragica esperienza, la lotta disperata per tornare a vivere e a occuparsi degli altri figli, Eliana, Daniel e Gavi, attraverso un percorso impervio che trova nella fede la forza per non abbandonarsi al dolore e per continuare, nonostante tutto, a credere nella vita.

L’autrice, con una prosa scorrevole e appassionata, ripercorre i momenti salienti della sua vita che l’hanno portata insieme al marito a decidere di trasferirsi in Israele a Tekoa, un luogo a contatto con la natura. “Talvolta se l’aria è chiara e tersa, o c’è stato un acquazzone, lo sguardo va oltre i monti della Giudea e si riesce a vedere la striscia del Mar Morto di un blu grigiastro visibile attraverso una fenditura nel monte….”

Le inevitabili difficoltà d’inserimento nella società israeliana, l’impatto con una nuova lingua e una scuola diversa per i ragazzi, le complicazioni legate alla possibilità di trovare un lavoro, non compromettono la consapevolezza di Sherri di aver fatto la scelta giusta a voler vivere e far crescere i propri figli in Israele.

Sono parole traboccanti di felicità quelle che narrano la nascita di Koby, la sua infanzia con le prodezze e le birichinate di ogni bimbo, i successi nello sport e la sua grande generosità con i nuovi amici israeliani.

Questa gioia immensa lascia il posto a uno strazio indescrivibile quando Sherri narra della morte del proprio figlio, una morte che definisce biblica.

“E’ un omicidio che è sconvolgente nel suo dolore spietato, nella sua fredda crudeltà. Due ragazzi ebrei sono stati assaliti in una grotta da terroristi arabi e colpiti a morte con delle pietre….Immagino mio figlio spaventato, che piange, che muore da solo nell’orrore e nell’agonia – un ragazzo di tredici anni”.

I sette giorni di lutto, la shivà, rappresentano per Sherri un lento e doloroso distacco dalla vita: si rifiuta di mangiare, di bere, di parlare (“Il cibo è qualcosa per le persone vive, e io non lo sono più”). Eppure come dice il rabbino Lamm lo scopo principale della shivà è di aiutare chi è in lutto nella sua solitudine. La presenza quindi dei molti amici che si avvicendano per porgere aiuto nella gestione della casa e dei figli, offrire parole di saggezza e condividere quel dolore devastante è un’ancora di salvezza per Sherri, una corda su cui inizia ad arrampicarsi.

La decisione di dar vita ad una Fondazione in memoria di Koby, matura giorno dopo giorno nella mente di Sherri non solo per conservare la memoria del figlio ma per restituire quell’aiuto che nei giorni del lutto ha ricevuto e che le ha consentito di tornare, seppur lentamente, alla vita: in Israele insieme al marito gestisce un campeggio e delle case di cura per i membri delle famiglie rimaste vittime del terrorismo.

“Ho avuto la benedizione di essere stata aiutata e ora porto questo aiuto alle altre famiglie. Sento di essere un emissario, che il mio ruolo è di dare alle altre famiglie ciò che ho ricevuto”.

Attraverso il lavoro della Fondazione (www.kobymandell.org), il ricordo di Koby rimane vivo, cresce e si trasforma in un simbolo di serenità che si oppone con la forza dell’amore all’odio che ha armato la mano dei terroristi palestinesi.

Scrive Sherri Mandell “quando i cuori spezzati si toccano, ne nasce uno nuovo, un cuore più aperto alla compassione, in grado di toccare gli altri, un cuore che cerca Dio.

Questa è la benedizione di un cuore spezzato”.

Giorgia Greco

Giovedì 21 giugno 2007

ore 21.00

Palazzo della Cultura

via Portico d'Ottavia

Roma

"Se stava mejo quanno se stava pejo"

spettacolo di cabaret in giudaico – romanesco

con Giordana Sermoneta e Mirella Calò

Keren Hayesod
Dal Dipartimento di Comunicazioni e Marketing
SOLIDARITY UPDATE

No. 382 – 15.6.07

La Conferenza Mondiale 2007 del Keren Hayesod: Ricostruire la Galilea – Con il tuo aiuto abbiamo fatto la differenza

Martedì prossimo, il 19 giugno 2007, si aprirà a Haifa la conferenza mondiale del Keren Hayesod. Quest’anno, a dodici mesi dalla seconda guerra del Libano, la conferenza esprime solidarietà al nord del Paese. Dallo scoppio della guerra il Keren Hayesod-AUI e l’Agenzia Ebraica lavorano instancabilmente per aiutare le popolazioni del nord d’Israele a ricostruire le loro vite e il loro futuro professionale. Alla vigilia della conferenza di giugno vi offriamo quattro resoconti personali che mostrano chiaramente come questi sforzi e la vostra generosità siano riusciti a beneficiare i residenti del nord del Paese.

“Viviamo in un tempo in cui il bene del singolo vale di più del bene dell’intera comunità… Secondo me, la solidarietà che la vostra organizzazione ha dimostrato nei confronti degli studenti riservisti (un settore della popolazione su cui, da ogni punto di vista, grava la responsabilità per il futuro di Israele), ci dà forza e un senso di unità ebraica che ha un che di glorioso. Rafforza la mia convinzione che il popolo ebraico, nonostante tutto, è ancora un popolo unito”.

Guy Taib, studente al Technion, Haifa

Vincitore di una borsa di studio dell’Agenzia Ebraica

Storie personali

Dalla rovina a un nuovo inizio:

1. Assistenza immediata alle piccole imprese in frantumi del Nord – Stefany Egozi

“Dopo le sofferenze della guerra della scorsa estate l’assegno dell’Agenzia Ebraica è stato un dono inaspettato. Non è stata solo una compensazione monetaria ma anche un sostegno morale che ci ha fatto capire che non siamo soli perché abbiamo così tanti buoni amici tra gli ebrei di tutto il mondo”.

Stefany Egozi, 30 anni, aveva aperto il suo studio di gioielleria a Shavei Zion, vicino a Nahariya, nel 2003. Ma la scorsa estate è stata costretta a chiudere mentre il suo mondo le crollava addosso.

Stefany produce caratteristici gioielli d’argento, oro e pietre preziose. Le sue creazioni sono caratterizzate da un design moderno, solido e pulito. Per arrotondare le entrate Stefany organizzava anche laboratori di gioielleria, nel corso dei quali svelava i segreti delle sue tecniche innovative, apprese da un orefice quando viveva in Australia.

Ma Stefany è stata costretta ad abbandonare la sua attività lo scorso luglio, quando i missili hanno cominciato a cadere attorno alla sua casa e sui laboratori adiacenti. Incinta di otto mesi, con il marito richiamato nella riserva, Stefany è scappata a sud per stare con la sorella. Scomparsi anche i clienti, è stata costretta a chiudere il laboratorio e dopo la guerra ha sciolto il contratto d’affitto; non aveva soldi per l’affitto e non poteva più permettersi i locali.

“Ero veramente a terra quando ho saputo degli assegni dell’Agenzia Ebraica”, ricorda. “E improvvisamente, solo una settimana dopo aver fatto domanda, avevo in mano un assegno di quasi 1.000 dollari. Questo, insieme alla nascita del mio bambino, mi ha dato la forza per ricominciare a lavorare”.

Stefany ha investito l’assegno dell’Agenzia Ebraica per comprare nuovi materiali e sta ora cercando uno studio più grande da affittare.

2. Il fondo dell’Agenzia Ebraica per le vittime del terrorismo
– Yair Cohen

Per Yair Cohen gli ultimi sette mesi sono stati un’esperienza di vita. Dal combattere una guerra e vedere i compagni morire, all’assistere alla nascita del primo figlio e guarire dalle proprie ferite, questo riservista para-medico di 26 ha dovuto affrontare una gamma di emozioni ed eventi ed è grato di esserne uscito intatto.

È stato durante la sua riabilitazione dopo la seconda guerra del Libano della scorsa estate che Cohen ha saputo dei premi in denaro assegnati dall’Agenzia Ebraica ai riservisti che avevano combattuto ed erano stati feriti durante la guerra. I Cohen hanno fatto domanda e hanno ricevuto un assegno dal fondo dell’Agenzia Ebraica per le vittime del terrorismo, assegno che hanno usato per acquistare il corredino per il loro bambino appena nato e per pagare in parte l’ultimo anno delle tasse universitarie di Yair.

“I soldi sono destinati a persone che ne hanno bisogno”, spiega Moshe Vigdor, direttore generale dell’Agenzia Ebraica. “Ciò che è successo a Yair ha interrotto la sua vita e i suoi studi. Il nostro obiettivo è di dare il necessario per aiutare persone come lui a venirne fuori”.

Quando lo scorso luglio è scoppiata la seconda guerra del Libano, Cohen stava completando il suo terzo anno presso il collegio religioso universitario per insegnanti Ra’am Lipschitz, dove studia per diventare insegnante di storia. In quanto para-medico in un reparto di paracadutisti, Cohen è stato richiamato alle 13:00 del secondo giorno dall’inizio delle ostilità e si è presentato in servizio sette ore dopo. Dopo una settimana di addestramento, il suo reparto ha ricevuto l’ordine di entrare in Libano per distruggere i lancia-missili degli Hezbollah, un compito difficile che solo le forze di terra potevano affrontare.

Secondo i piani, i soldati avrebbero dovuto camminare di notte e dormire di giorno per non essere intercettati. Ma a causa di un ritardo al momento della partenza, all’alba stavano ancora camminando, lontani dall’obiettivo finale. Dopo aver trovato alcune case abbandonate in un villaggio libanese si sono accampati per la giornata. Il reparto di Cohen ha occupato il magazzino di una casa piena di montagne di zaatar lasciato lì ad essiccare.

Cohen si era appena sistemato in cima a un mucchio di zaatar quando un missile ha colpito la casa, sbriciolando i muri e disseminando un po’ ovunque corpi ed equipaggiamento. “Non sai se sei ancora vivo”, dice Cohen, ricordando la scena. “Non è chiaro. Controlli solo se puoi respirare”.

Quando Cohen è potuto ad uscire fuori, gli si è presentata una scena terribile, con soldati feriti che lo chiamavano perché li aiutasse. I suoi amici si contorcevano sul pavimento per il dolore. Quando un secondo missile ha colpito il perimetro, i soldati si sono rifugiati in un vicino uliveto, aspettando che arrivassero i rinforzi. Solo cinque ore dopo, quando il reparto era stato finalmente evacuato oltre il confine, Cohen si è reso conto che il suo elmetto era pieno di sangue a causa di una ferita alla testa.

Cohen ha sofferto a causa di un coagulo sanguinio ed è stato colpito da stress post-traumatico, ma è comunque riuscito a tornare abbastanza presto a Eli, la comunità alle porte di Gerusalemme dove vive con la moglie Liat, che a quel tempo era incinta di sette mesi. Si erano trasferiti ad Eli dopo essersi sposati nell’agosto del 2005 perché un amico di Cohen, Gilad Zussman, viveva lì. Ma Zussman è stato ucciso in uno scontro con gli Hezbollah.

Gli ultimi mesi sono stati complicati. I Cohen piangono il loro amico e festeggiano la nascita di Adì, la primogenita nata in novembre e chiamata così in onore di Gilad. L’aiuto finanziario ricevuto dall’Agenzia Ebraica, dice Cohen, non ha prezzo: li ha aiutati proprio quando ne avevano più bisogno. “Siamo qui con lei”, dice Cohen, che nel frattempo è tornato a scuola per completare il suo ultimo anno di studi. “Cresciamo con lei”.

3. Borse di studio per studenti che studiano nei collegi universitari del Nord – Ilanit Sigati

“Vivo nel Nord da quattro anni. Adoro questa regione. Ma dopo la guerra ho iniziato a chiedermi se era il caso di rimanere. La borsa di studio per studiare al collegio universitario Tal-Hai ha cancellato ogni dubbio. Il mio futuro è nell’Alta Galilea”.

Ilanit Sigati, 27 anni, iscritta al terzo anno presso il collegio universitario Tel-Hai nell’Alta Galilea, ha trascorso un’estate da incubo nei rifugi antimissile. Nata a Dimona, Ilanit si è trasferita a Kiryat Shmona dopo aver incontrato il suo compagno Yair, che è cresciuto nell’Alta Galilea. Durante la guerra Ilanit è rimasta a Kiryat Shmona. Yair era stato richiamato in un reparto combattente in Libano e lei voleva rimanergli vicino.

Quando la seconda guerra del Libano è finita, sia Ilanit che Yair, il quale studierà elettronica al collegio regionale della Jezreel Valley, hanno deciso di completare gli studi universitari. Ma la situazione finanziaria era difficile per entrambi.

“Da studenti in Israele è sempre difficile arrivare alla fine del mese”, dice Ilanit. “Devo lavorare per pagare le tasse universitarie, il vitto e l’alloggio. Quest’anno è anche più difficile, perché nessuno di noi due ha potuto lavorare durante l’estate a causa della guerra”.

La giovane coppia ha sentito alla radio che l’Agenzia Ebraica offriva borse di studio e ha fatto domanda. “È molto commovente sapere che gli ebrei di tutto il mondo si preoccupano per noi. Per me questo è un grandissimo incentivo”.

Con il tuo aiuto abbiamo fatto la differenza – Grazie!

————– Coming soon ————-

In relazione alla polemica che si è innescata nel mondo ebraico italiano

per l'articolo del Rabbino Capo di Roma su Shalom

e per gli appelli via email che ne sono seguiti

L'Ugei incontra Rav Di Segni

giovedì 28 giugno 2007

dalle 18.00 alle 20.00

Si terrà a Roma un dibattito fra i giovani ebrei italiani e il Rabbino Capo

– Riteniamo di non poter comportarci da semplici spettatori, perchè è in discussione il nostro futuro.

– Non vogliamo spaccature.

– Vogliamo che sia garantito il futuro dell'ebraismo italiano ed il nostro futuro di Ebrei italiani.

– Vogliamo una dialettica sana e costruttiva e non polemiche.

– Riteniamo che i con i rabbanim si possa e si debba discutere dei problemi, reali o presunti, che affliggono le nostre Comunità; Comunità che devono rimanere accoglienti per tutti.

A discutere con il Rabbino Capo saranno due giovani che, con posizioni fra loro differenti, affronteranno le questioni dell'alachà, del diritto, della laicità dello Stato e dell'omosessualità.

Vi comunicheremo al più presto maggiori dettagli sull'incontro.

————- Coming soon ————-

Visita il sito www.ugei.it

L'incontro è aperto a tutti. Sarebbe meglio prenotarsi per ragioni di
sicurezza.

Iraq: anarchia, povertà e coltivazioni di oppio nel sud del paese

A sud di Baghdad, nelle aree controllate esclusivamente dalle milizie sciite, le piantagioni di papaveri da oppio stanno soppiantando quelle di riso per le quali le zone in questione sono famose. Di certo non si tratta di una scelta spontanea dei contadini locali, quanto è piuttosto il risultato della completa mancanza dello stato di diritto in zone in cui vige la quotidiana violenza tra partiti e milizie sciite rivali che si contendono il controllo del territorio e delle sue risorse.

Donatella Scatamacchia

Equilibri.net (19 giugno 2007)

In epoca contemporanea la coltivazione del papavero da oppio in Iraq è stata sconosciuta. Però i più antichi riferimenti scritti a tale piantagione vengono da tavolette di argilla trovate fra le rovine della città di Nippur, situata ad est della località di Diwaniya, proprio dove i contadini iracheni hanno smesso di coltivare riso per dedicarsi alla coltura di papaveri. Infatti questi venivano coltivati nella zona già nel 3400 a.C., quando erano noti agli antichi Sumeri come le “piante della gioia”. Al di là di questa parentesi relativa all’epoca antica, l’Iraq contemporaneo è stato più che altro un punto di transito dell’oppio e dei suoi derivati illeciti, quali l’eroina e l’hashish, provenienti dall’Afghanistan attraverso l’Iran e destinati ai mercati dell’Europa e dell’America. Difatti all’incirca il 50% dell’oppio prodotto in Afghanistan transita per la Repubblica Islamica Iraniana da dove può intraprendere tre percorsi: quello verso Nord, quello di Hormuzgan e quello verso Sud il quale coinvolge anche la costa irachena nonché le maggiori città del sud del paese. Proprio durante il regime di Saddam Hussein gli apparati di sicurezza di Bassora erano coinvolti intensamente nel commercio illecito di stupefacenti. La situazione è notevolmente peggiorata negli ultimi quattro anni: il caos post-2003 e la mancanza di controlli alle frontiere non ha fatto altro che aumentare il contrabbando di droga e il consumo interno di sostanze stupefacenti. Poiché si tratta di un mercato nero che, insieme a quello delle armi e del petrolio, comporta cospicui guadagni per chi lo gestisce, è anche una delle cause di rivalità tra i diversi gruppi sciiti che effettivamente detengono il controllo del territorio. Altresì è l’effetto della completa mancanza di ordine e controllo da parte delle autorità ufficiali nelle zone di Diwaniya, Bassora, Nassiriya e Kut.

L’Iraq come l’Afghanistan?

Dagli ultimi sviluppi pare che quello che era contrabbando, consumo e transito di droga fino a poco tempo fa, si sia tradotto nella diretta coltivazione del papavero da oppio. Le terre situate lungo l’Eufrate ad ovest della città di Diwaniya, nella regione di Al-Qadisiyah, adibite alla produzione di riso, starebbero diventando territorio adattato alla coltura dell’oppio, il quale non dovrebbe avere alcuna difficoltà nel crescere date le ottimali condizioni climatiche e di approvvigionamento idrico; l’unico ostacolo che concretamente i contadini stanno incontrando è la forte umidità della zona, dovuta alle vecchie risaie e che potrebbe essere risolta con una semplice bonifica del territorio.

Queste nuove coltivazioni sono la dimostrazione che, come in Afghanistan dopo la caduta dei Talebani nel 2001, il vuoto istituzionale e di potere non sia stato colmato né dagli inglesi né dal governo iracheno dando origine ad una condizione di anarchia, ideale per le bande criminali e per i contrabbandieri e produttori di droga. In realtà in Iraq il controllo della produzione di oppio sarebbe legato ad un generalizzato controllo di zone di influenza in cui i principali attori sono le milizie sciite del sud. Infatti anche se in governo di Baghdad ribadisce la sua graduale presa del controllo, subentrando agli Usa e alla Gran Bretagna, i vincitori nel sud iracheno sembrano essere le milizie, spesso illegali, che hanno colonizzato le forze di sicurezza del paese. Ovviamente la modalità d’azione per quel che riguarda l’appena intrapresa coltivazione del papavero da oppio delle milizie è il modello afgano che ad oggi è uno dei maggiori produttori ed esportatori mondiali di oppio e suoi derivati, con la sola differenza che l’Afghanistan possiede numerosi laboratori con annessi esperti nel trasformare l’oppio in eroina (Cfr. Afghanistan: la complessa rete della produzione e del commercio dell’oppio). Inoltre poiché la coltivazione dell’oppio può garantire profitti assai più alti rispetto a quella del riso, è probabile che le milizie non incontrino ostacoli nel persuadere i contadini impoveriti a cambiare l’oggetto delle loro piantagioni. (Cfr. Iraq: ricchezza di acqua e difficoltà agricole)

La disastrosa situazione economica

E’ inevitabile che il tragico trend economico e le degradanti condizioni di vita nel paese hanno contribuito ad alimentare il mercato nero ed ora anche la produzione di oppio, portando i contadini a cercare entrate alternative per la propria sussistenza. Il penoso stato economico in cui riversa l’Iraq non è una sola realtà post-2003: l’economia irachena è stata devastata durante gli anni ’80 e ’90 a causa della sfortunata combinazione di guerre, dittatura e sanzioni internazionali con cui gli iracheni sono stati ridotti alla povertà; però è con la caduta di Saddam che le condizioni di vita della popolazione hanno subito un durissimo colpo, soprattutto per la totale mancanza di sicurezza e stabilità politica. In realtà è praticamente impossibile ottenere informazioni attendibili sullo stato dell’economia: nel 2004, le Nazioni Unite, in collaborazione con il Ministero della pianificazione iracheno, hanno pubblicato un rapporto sulle condizioni di vita in Iraq, che presentava informazioni dettagliate relative all'economia del Paese; lo scorso marzo è stato pubblicato un secondo rapporto delle Nazioni Unite che è interamente basato sui dati raccolti nel contesto dell'indagine del 2004 e che pertanto non chiarisce in che modo le condizioni economiche si siano evolute negli ultimi tre anni. Ad ogni modo tassi di disoccupazione e di inflazione elevati, il mal funzionamento delle linee di distribuzione delle merci, la mancanza di elettricità ed acqua potabile, gli alti costi dei carburanti rendono impossibile alla maggior parte dei cittadini vivere nel proprio paese, costringendoli a fuggire all’estero. E’ una situazione che non riguarda solo quelli che erano in partenza i ceti medio-bassi della popolazione, ma anche i liberi professionisti, nella maggior parte dei casi, abbandonano l’Iraq. Di conseguenza si è verificato un vero e proprio spopolamento che ha inevitabilmente influenzato in senso negativo l’efficienza e la fornitura di servizi. Ovviamente la povertà diffusa e la mancanza di aspettative per una vita migliore non hanno provocato nei contadini la volontà di dedicarsi alla coltivazione del papavero da oppio soppiantando quella del riso, ma hanno contribuito a rendere i coltivatori del sud più malleabili ad un simile cambiamento gestito esclusivamente dalle bande e dalle milizie che controllano il territorio.

Assenza dello “stato di diritto”: violenza tra milizie sciite e controllo del territorio

La particolarità, rispetto al resto del paese, degli scontri che si stanno verificando soprattutto nelle città di Diwaniya, Bassora, Nassiriya e Kut negli ultimi mesi è che non si tratta di violenze a carattere confessionale, quanto piuttosto di una vera e propria guerriglia per il controllo del territorio e delle sue ricchezze. Tra queste ultime, da ora in poi, saranno comprese anche le piantagioni di oppio e il lucroso mercato che il papavero comporta.

Le due principali milizie sciite in lotta tra loro sono la Badr Organization, il braccio armato del Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq (SCIRI) recentemente ribattezzato SIIC (Consiglio supremo islamico iracheno), e l’Esercito del Mahdi, fedele al leader sciita Muqtada al-Sadr. Le rivalità tra i due gruppi, che tra l’altro fanno parte della stessa coalizione che detiene la maggioranza in Parlamento, la United Iraq Alliance, poggerebbero su motivazioni politiche relative alla divergente agenda locale dei due gruppi: il movimento di al-Sadr è di stampo populista ma anche estremamente nazionalista, contrario ad ogni progetto che possa portare ad una divisione federale dell’Iraq; il SIIC invece è il principale fautore di una macroregione sciita sul modello curdo, tra l’altro appoggiato dalla comunità internazionale, ed onnipresente nel corpo di polizia del paese. La caduta di Saddam e il conseguente vuoto istituzionale che si è creato è stato riempito da forze politiche che di politico hanno ben poco; corrotte, violente ed implicate in reti politico-mafiose, sembrano avere come unico obiettivo il controllo delle zone di influenza dell’area, anteponendo a tutto i propri interessi strategici ed economici.

Conclusione

In un quadro complesso come l’attuale situazione irachena, un ulteriore fattore destabilizzante come la produzione di papaveri da oppio contribuisce ulteriormente ad un peggioramento della situazione: prima di tutto i contadini, seppur riusciranno ad alleviare le misere condizioni in cui sono costretti a vivere, saranno soggiogati al volere e la controllo di bande criminali; inoltre l’oppio è un aggiuntivo motivo di scontro tra le milizie sciite e quindi di violenza e insicurezza per la stessa popolazione. Tra l’altro nel caso in cui le piantagioni di oppio dovessero crescere e svilupparsi senza problemi tecnici legati al clima o all’umidità, l’Iraq potrebbe diventare un esportatore di droghe proprio come l’Afghanistan, le cui conseguenze si riverserebbero in primis nel paesi europei data la vicinanza geografica.

Washington, 19:26
RAMALLAH: ABU MAZEN A BUSH, PRONTI A TRATTARE CON ISRAELE
Il presidente dell'Anp Abu Mazen e' pronto a riprendere i colloqui di pace con Israele. E' quanto ha annunciato lo stesso leader palestinese a George W. Bush nel corso di una telefonata in cui il presidente degli Stati Uniti gli ha confermato il suo appoggio. Ne ha dato notizia la Casa Bianca. Abu Mazen ha detto a Bush che, "intende riprendere il processo politico e aprire canali politici (con Israele)", ha spiegato il portavoce dell'amministrazione Bush, Tony Snow, specificando che il leader palestinese non ha pero' fissato un calendario per i nuovi negoziati con lo Stato ebraico. Il dipartimento di Stato ha anticipato che in serata sara' fatto un annuncio sul possibile sblocco degli aiuti statunitensi per l'Anp. I fondi vennero congelati lo scorso marzo quando Hamas diede vita a un governo monocolore e Washington potrebbe trasferirli ora al governo di emergenza guidato da Salem Fayyad. Gli Usa intendono accelerare i contatti tra il premier israeliano Ehud Olmert, da ieri a Washington e che domani vedra' Bush, e Abu Mazen. L'obiettivo statunitense e' isolare Hamas economicamente, diplomaticamente e militarmente nella Striscia di Gaza.

La Repubblica.it

Sahar, il Rooney d'Israele

Continua il viaggio di Gazzetta.it alla scoperta dei migliori giovani nati dal 1986 in poi: il protagonista dell'11ª puntata è il 17enne attaccante del Chelsea. Tra lui e il sogno di sfondare in Premier League, però, c'è il problema del servizio militare da assolvere

Ben Sahar, 17 anni, sogna un futuro da titolare nel Chelsea

MILANO, 18 giugno 2007 – Quando sente dire che José Mourinho è un sergente di ferro, Ben Sahar non può fare a meno di sorridere. Perché alla stellina israeliana del Chelsea la parola "sergente" evoca presagi sinistri e il tecnico portoghese dei Blues, qualunque cosa dica, non potrà mai spaventarlo come l'idea di dover assolvere gli obblighi di leva. Sahar ha 17 anni, è il leader indiscusso dell'Under 21 del suo Paese ed è già nel giro della nazionale maggiore. A Stamford Bridge sono convinti che sia un attaccante su cui puntare forte nei prossimi anni, impressione corroborata dalle poche apparizioni in prima squadra e dalle prestazioni convincenti nel campionato riserve. Ma tra Ben e la gloria c'è un ostacolo serio: l'esercito. Israele impone a tutti gli atleti, anche a quelli che praticano sport ad alto livello all'estero, di "fare il militare". Chi si rifiuta non può più rappresentare il suo Paese in alcun ambito. L'ex centrocampista del Manchester City Eyal Berkovic e l'attuale trequartista del West Ham Yossi Benayoun sono esempi di calciatori israeliani richiamati dalla Premier League per rendere servizio alla patria. Ma c'è un problemino: la "naja", in Israele, dura 3 anni. Figuratevi quanta voglia possa avere Sahar di sospendere una carriera promettente e riprenderla nel 2010.

CHI E' – Nata il 10 agosto 1989 a Holon, la grande speranza del calcio israeliano è cresciuta calcisticamente nelle giovanili dell'Hapoel Tel Aviv. Nell'estate scorsa è arrivato il trasferimento al Chelsea per una cifra di poco inferiore ai 500mila euro: l'operazione è andata a buon fine grazie a una provvidenziale cittadinanza polacca (dovuta alle origini della madre), che ha aggirato le severe regole inglesi sui permessi di lavoro per gli immigrati. Da quel momento, Sahar ha iniziato a brillare, collezionando una serie di primati: è il più giovane calciatore ad aver segnato nella nazionale israeliana, così come è il più giovane giocatore del Chelsea ad aver messo piede in campo in una competizione internazionale. A Londra si è presentato con queste parole: "Voglio che un giorno Mourinho mi aspetti alla fine dell'allenamento e mi dica che sono pronto per un posto in prima squadra". Il 6 gennaio scorso il suo proposito è diventato reale: debutto coi Blues contro il Macclesfield in coppa di Lega. Punta rapida e insieme potente, nel finale di campionato ha avuto pure l'onore di giocare in Chelsea-Manchester Utd, confermando di avere personalità. Nella prossima stagione potrebbe trovare più spazio, sempre che il servizio militare non si metta di mezzo. Nel Likud israeliano, in un momento storico reso delicatissimo dalla questione palestinese, qualcuno ha anche trovato il tempo di presentare una proposta di legge ideata per Ben Sahar e per quelli come lui. In pratica, la leva militare verrebbe sostituita da un incarico nell'ambasciata israeliana a Londra, permettendo al ragazzo di restare in Inghilterra. Il caso, dunque, sembra risolversi. Ma c'è un particolare gustoso. Inghilterra e Israele sono inserite nello stesso girone di qualificazione a Euro 2008. L'8 settembre prossimo, la nazionale di McClaren sfiderà quella di Kashtan in uno scontro diretto fondamentale per andare agli Europei. Siamo sicuri che gli inglesi abbiano fatto un buon affare a salvare il soldato Ben?

VALUTAZIONE – 3 stelle (da 1 a 5).

A CHI SOMIGLIA – E' già stato ribattezzato "il Rooney israeliano". E il paragone calza, anche se Sahar può sfruttare qualche centimetro in più d'altezza.

QUOTAZIONE DI MERCATO – 1 milione di euro.

SQUADRE INTERESSATE – Praticamente tutte le medio-piccole squadre inglesi, dalla Premier League alla League Championship. L'obiettivo è quello di ottenere un prestito dai Blues, che l'hanno strappato alla concorrenza di Arsenal, Tottenham e Aston Villa.

a cura diStefano Cantalupi e Valerio Clari

da Gazzetta.it

Agenzia Radicale

La campagna dell'Onu contro Israele

intervista a Hillel Neuer, presidente di UN Watch

Testata: Agenzia Radicale

Data: 18 giugno 2007

Pagina: 1

Autore: Elena Lattes

Titolo: «UN Watch per monitorare l'ONU»

Da AGENZIA RADICALE del 18 giugno 2007:

A prima vista può sembrare un ragazzino poco più che ventenne, ma quando lo si sente parlare ci si accorge di tutta la sua competenza e maturità; Hillel Neuer è il presidente dell¹associazione UN Watch, una ong, creata nel 1993 da Morris Abram – già rappresentante statunitense all¹Onu e vecchio collaboratore di Martin Luther King – con sede a Ginevra, il cui scopo è monitorare l¹operato delle Nazioni Unite e denunciarne le ingiustizie commesse, raccontando ai mass media cosa succede all¹interno delle sessioni e obbligando i funzionari a rendere conto del loro operato.
In occasione di una sua visita a Roma, l¹abbiamo incontrato per capire cosa non va e perché.
Neuer parte dagli anni ¹70 quando i Paesi arabi, all¹indomani della sconfitta nella Guerra del Kippur, si resero conto del loro fallimento nel conquistare Israele militarmente e decisero quindi di spostare la guerra sul piano diplomatico e propagandistico.
Non a caso, infatti, nel 1975 fu approvata dall¹Assemblea Generale la risoluzione che equiparava il Sionismo al razzismo. Sebbene sia stata poi abolita nel 1991, lo spirito permane tuttora ed il Sionismo rimane l¹unico movimento di autodeterminazione di un popolo ad essere discriminato.
La Commissione dei Diritti Umani è la sezione che più risente di doppiopesismo, essendo formata da 53 Paesi, tra cui alcune delle peggiori dittature presenti oggi nel mondo: Cuba, Sudan, Cina, Arabia Saudita. Basti pensare che ogni anno si riunisce per emanare 10 risoluzioni di condanna di cui 5 soltanto per Israele, mentre le altre vengono dedicate a cinque dittature, tra le quali naturalmente non figura nessun Paese arabo.
Ogni ordine del giorno presenta principalmente due punti, il primo riguarda la violazione dei diritti umani in 192 Paesi, il secondo la violazione dei diritti umani ³nei Territori Occupati², laddove non si tratta del Tibet occupato dai cinesi, dei protettorati delle ex colonie europee, del Kashmir o di qualunque altra zona del mondo che rivendica la propria autonomia, ma soltanto di quelli palestinesi.
In poche parole, quindi, questa Commissione sorvola brevemente su tutti i Paesi, focalizzando la sua attenzione soltanto su Israele e ignorando oculatamente tutte le aggressioni da parte araba e palestinese.
Due anni fa Kofi Annan decise che la Commissione non funzionava e la trasformò in un Consiglio, le cui caratteristiche negative, però, permangono tuttora. I due relatori speciali, lo svizzero Jean Ziegler e il sudafricano John Dugard non hanno mai mancato l¹occasione di attaccare Israele.
Il primo in tutto il 2004 visitò soltanto i Territori sotto il controllo dell¹Autorità Palestinese, ignorando gli altri 800 milioni di affamati nel mondo e nel 2005 in un rally propalestinese a Ginevra paragonò Gaza ad un campo di concentramento e gli israeliani ai nazisti.
In un¹altra occasione affermò che gli Stati Uniti ³sono una dittatura imperialista colpevole di genocidio a Cuba² per aver imposto l¹embargo.
Nel 1989 collaborò col dittatore libico nell¹istituire il ³Premio Muhammar Gheddafi per i diritti umani² in contrasto con il Premio Nobel per la pace, considerato da lui troppo occidentale e nel 2002 lo vinse insieme al negazionista francese Garaudy.
Gli altri vincitori, neanche a dirlo, sono Chavez, Fidel Castro, il capomafia Mahadi Mohammad, Farrakhan.
Quando l¹estate scorsa Hamas, entrando in Israele da Gaza, rapì Gilad Shalit, uccidendo anche altri soldati, John Dugard cominciò il suo discorso esprimendo la sua simpatia per il rapito. Per un istante tutti si meravigliarono, finché egli non aggiunse che esprimeva quella sua simpatia per tutti i giovani ³costretti a servire uno Stato di apartheid².

Grazie alle denunce di UnWatch nel 2003 Ziegler fu indagato per la prima volta. Naturalmente non ne uscì nessuna condanna, grazie alla maggioranza dei Paesi che lo difesero, ma per un anno almeno, fu costretto a comportarsi meno scorrettamente. E perfino Kofi Annan si vide obbligato a prendere le distanze dalle sue affermazioni. Era la prima volta che l¹Onu metteva in discussione un suo esperto.
La responsabilità di tutte le ingiustizie ovviamente non ricadono soltanto su questi due esponenti, se si pensa che nel marzo scorso lo stesso Hillel Neuer fu minacciato dal presidente della Commissione, Luis Alfonso de Alba di non essere più ammesso a parlare perché aveva osato far notare che nel mondo c¹erano tragedie ben più grandi dell¹²occupazione israeliana², compresa la guerra intrapalestinese che allora era solo all¹inizio, ma che già aveva causato diverse decine di morti in un tempo assai breve.

Purtroppo la serata è stata breve e Neuer non ha avuto la possibilità di illustrarci altri esempi, ma per chi fosse interessato può consultare il sito dell¹organizzazione: http://www.unwatch.org

Palestina: Hamas conquista Gaza, controffensiva istituzionale di Fatah. Aspettando Israele?

Equilibri.net (18 giugno 2007)

Domenica 17 giugno il governo di emergenza guidato da Salam Fayyad e composto esclusivamente da ministri indipendenti ha prestato giuramento a Ramallah (Cisgiordania). Il nuovo esecutivo, messo in piedi dal Presidente Abu Mazen subito dopo lo scioglimento del governo di unità nazionale, dovrà ottenere il riconoscimento della comunità internazionale come autorità palestinese “legittima” e portare in tempi brevissimi allo sblocco dei fondi internazionali.

Dopo la conquista da parte di Hamas della Striscia di Gaza, la prima controffensiva di Fatah è quindi di carattere istituzionale: in Cisgiordania si insedia un nuovo governo, fedele all’OLP e filo-occidentale, mentre da Gaza i portavoce del movimento islamico fanno sapere che, nonostante il “golpe” di Fatah, Ismail Haniyeh rimane il Primo Ministro del governo palestinese democraticamente eletto nel gennaio 2006. La battaglia retorica tuttavia non deve ingannare sulla natura del conflitto: nei giorni scorsi Hamas ha espulso Fatah dalla Striscia di Gaza con un putsch militare, violando gli accordi della Mecca sull’unità nazionale. Più difficile è invece stabilire su quale territorio e su quale popolazione governerà il nuovo governo presieduto da Fayyad. Nel fine settimana, la Presidenza dell’ANP ha dichiarato fuorilegge le forze di Hamas in Cisgiordania. Attualmente esistono quindi due governi su due territori, situazione che non dovrebbe mutare salvo interventi esterni, per quanto nei prossimi giorni il probabile verificarsi di una crisi umanitaria a Gaza dovrebbe spingere l’ONU ad adottare una risoluzione.

La sovranità del governo sostenuto da Fatah in Cisgiordania non sembra minacciata, potendo godere dell’appoggio dei paesi occidentali e della protezione militare di Israele. Più difficile stabilire se Hamas sarà in grado di mantenere la Striscia di Gaza. Il movimento islamico può contare sul sostegno di Iran e Siria, su forze armate compatte e ben addestrate oltre che su un impatto ideologico non trascurabile, ma va incontro ad un ineluttabile isolamento politico ed economico e deve difendere un territorio estremamente vulnerabile. Un intervento diretto di Israele (previsto in settimana incontro Bush-Olmert) potrebbe allora essere decisivo: tuttavia, considerato l’alto grado di interdipendenza dei conflitti locali in Medio Oriente, è da considerarsi molto rischioso e suscettibile di condurre a gravi conseguenze su scala regionale. Il lancio di razzi Katyusha dal Libano su Israele nella giornata di domenica sembra essere, a riguardo, un segnale abbastanza esplicito.

Giovanni Faleg

Comunicato stampa

ZACCHERA (AN) : D’ALEMA APRE ALLA SIRIA

IN CAMBIO DI PROTEZIONE PER GLI ITALIANI IN LIBANO ?

L’on.le Marco Zacchera, responsabile esteri di Alleanza Nazionale e componente la Commissione Esteri della Camera, chiede con una interrogazione parlamentare se risponda al vero quanto pubblicato la scorsa notte dall’importante giornale israeliano HAARETZ secondo il quale il ministro D’Alema, nel corso della sua recente visita a Damasco (dove ha incontrato il presidente Kasher Al-Assad ed il ministro degli esteri Walid Moallem), avrebbe offerto alla Siria un’iniziativa italiana per porre fine al suo isolamento internazionale in cambio della garanzia che Hezbollah e gli altri gruppi estremisti islamici non avrebbero attaccato le truppe italiane in Libano.

L’on.le Zacchera (anche alla luce del recente, ennesimo attentato a Beirut dove è stato ucciso un deputato libanese antisiriano) chiede anche un commento al Ministro degli Affari Esteri sull’interpretazione israeliana – citata dal giornale Haarzet – con la quale ci si chiede se l’Italia sia più interessata alla sicurezza delle sue truppe rispetto al rispetto del mandato ONU ricevuto, e se ciò non indebolisca la posizione italiana soprattutto nel caso si prospetti l’invio di una forza multinazionale di pace a Gaza. Zacchera sottolinea che in Israele ci si chiede se “nonostante le apparenti buone intenzioni” l’Italia non impedirebbe che Hamas lanci razzi verso Israele o importi armi verso Gaza.

Ringraziando per la cortese diffusione

Roma, 17.6.2007

Da Simonetta:

Amici, questa e' una lettera di protesta contro Gad Lerner il quale ha scritto a Magdi Allam una lettera offensiva e veramente ignobile Che troverete alla fine della e mail.

servono molte firme, vi prego di firmare e di rispedire il tutto a questo indirizzo: segreamar@fastwebnet.it

grazie

L’articolo di Gad Lerner uscito su Vanity Fair è un attacco a Magdi Allam, che noi ebrei non possiamo lasciar passare sotto silenzio. Abbiamo, singolarmente, espresso a Magdi tutta la nostra solidarietà e indignazione per le ignobili parole di Lerner. Che, oltre ad essere tali, possono essere, se non giustificate, almeno spiegate. Magdi Allam è in Italia, lui musulmano, una delle poche persone che ha capito il dramma di Israele di fronte alla minaccia del fondamentalismo islamico. Questa sua dedizione gli è stata riconosciuta a Gerusalemme, con l’attribuzione del Premio Dan David e a Washington con il Mass Media Award dall’ American Jewish Commettee, due istituzioni che non praticano abitualmente lo sport di attaccare Israele, come capita a certi ebrei.

Magdi vive da anni sotto scorta per il coraggio con il quale difende Israele, è stato minacciato di morte e la sua vita è quindi ogni giorno in serio pericolo.

Non entriamo in merito al testo di Lerner, ci limitiamo ad accluderlo per chi non lo conoscesse.

Chiediamo agli ebrei italiani di firmare questo atto di amicizia e solidarietà per far giungere a Magdi Allam una voce sincera di amicizia e ringraziamento per il suo coraggioso e onesto impegno in favore della verità e della giustizia. E, come lui scrive sempre, per la vita contro la morte.

Ecco l’articolo di Gad Lerner:

La differenza fra traditori e transfughi: lettera a un levantino (come me)

Magdi Allam, arabo, esprime nel suo libro un'identificazione totale con

Israele. Che a me, ebreo, dà disagio.

Caro Magdi Allam, ho ricevuto tuo nuovo libro Viva Israele (Mondadori) con

una dedica affettuosa che naturalmente ricambio. Mi rendo conto che ci hai

messo l'anima, e che da uno come me ti attenderesti gratitudine per una

dichiarazione d'amicizia, o meglio d'identificazione assoluta con la sorte

del popolo ebraico e dello Stato d'Israele, che – nonostante le ottime

intenzioni – mi lascia addosso invece un senso di disagio. Dapprima ho

pensato che fosse solo una questione di tono. Per motivare la riconversione

di un arabo egiziano alle buone ragioni universali d'Israele, la civiltà

contro la barbarie, la vita contro la morte, autoproclami te stesso titolare

di una nuova fede assoluta e incrollabile. Nobile e coraggioso è il tuo

nuovo pensiero guida – la sacralità della vita – per il quale hai prescelto

due portabandiera affiancati del calibro d'Israele e della Chiesa di

Benedetto XVI. Più naturalmente un punto cardinale di riferimento:

l'Occidente. Qui il confronto con l'infedele che ti scrive è impari. Posso

solo inchinarmi al cospetto della tua rinascita spirituale. Fede assoluta e

incrollabile? Tanto fragile, scettica, incoerente è la mia povera fede di

povero mortale, da farmi avvertire estraneo il tuo faraonico Sturm und Drang

. Lo so che ho torto, ma in tutto quel po' po' di enfasi fideistica che

esibisci, a me viene da cogliere il suono posticcio della moneta falsa.

Perché? Non ho alcun diritto di farti il processo alle intenzioni. Posso

solo esprimerti solidarietà per le minacce recate alla tua sicurezza

personale dagli islamisti che denunci ogni giorno sul Corriere e in Tv,

mettendoci la firma e la faccia. E allora? E allora non è questione di tono,

tu devoto io infedele, tu coraggioso io fifone.

Noi abbiamo più o meno la stessa età. Come tanti altri siamo arrivati

entrambi in Italia per caso, dalla nativa sponda Sud del Mediterraneo.

Quella guerra fulminea che Israele vinse in sei giorni quarant'anni fa, nel

1967, spezzando la tenaglia degli eserciti arabi che tentavano di

distruggerlo, e conquistando vasti territori ancor oggi in larga misura

purtroppo occupati, rappresenta un culmine emotivo della nostra adolescenza.

Forse un giorno scriverò anch'io la mia Israele del '67, la partecipazione

minuto per minuto al conflitto, la famiglia tutta salva, la visita

stupefatta – con mio padre – ai luoghi della vittoria miracolosa dallo

stretto di Tiran fino al Golan, imbattendomi per la prima volta nelle case

di fango dei profughi palestinesi in Cisgiordania, e dappertutto una voce

flautata che cantava Jerushalaim shel zaav, cioè «Gerusalemme d'oro». Hai

fatto bene a raccontare il Cairo nei giorni della sconfitta, con gli occhi

di un ragazzino nazionalista. Perché l'umiliazione e l'infelicità araba che

ne scaturirono sono fattori potenti di una guerra in cui siamo tuttora

immersi. Né mi turba il tuo tradimento nei confronti di un'ideologia

panaraba zeppa di menzogne. Il mio amico Alexander Langer mi ha insegnato la

necessità del tradimento quando si tratta di rompere la gabbia della

compattezza etnica. Ma non per saltare armi e bagagli dall'altra parte del

muro, bensì per costruire ponti, favorire l'interscambio e la comprensione

reciproca, incoraggiare l'autocritica fra la propria gente. Diceva Alex:

abbiamo bisogno di traditori ma non di transfughi. È il senso di complicità

che avvertivo quando mi accompagnasti nel '98 ad Algeri. Portavo nella prima

serata televisiva italiana una denuncia dell'integralismo islamico che

all'epoca non ti vedeva ancora sensibile come oggi. Ma eravamo, io e te,

qualcosa di antico da cui non si sfugge con i proclami e con le finte

metamorfosi: due levantini. Sì, proprio gente di Levante, dai fenici alle

repubbliche marinare, dai mercanti ai caravanserragli su e giù per le città

cosmopolite di qui e di là del mare. Sanguemisti. Cabibbi. Gente

d'outre-mer. Bastardi, per fortuna. Accomunati da una levantinità che solo

gli ignoranti di storia mediterranea possono additare come una tara. In

effetti quel che mi ha dato più fastidio, nel tuo Viva Israele, Magdi, è che

pure tu, come tanti nostri nemici, esalti una presunta, mai avvenuta,

metamorfosi degli ebrei. Finalmente combattenti. Avamposto della guerra

occidentale in difesa della sacralità della vita. Per carità, lasciaci

continuare a essere quel che siamo! Certe mascherate sono troppo pericolose

in tempo di guerra!

Gad Lerner

 

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