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[b]Autore: Davide Frattini – Luigi Accattoli – la redazione – Salvatore Mazza[/b]

Dal CORRIERE della SERA dell'13 aprile 2007, la cronaca di Davide Frattini:

GERUSALEMME — Una didascalia sotto la foto di Pio XII. Definisce «una questione controversa» la reazione del Papa al massacro degli ebrei durante l'Olocausto. Una didascalia sotto una foto che ha spinto monsignor Antonio Franco, nunzio apostolico in Israele, a scrivere allo Yad Vashem per annunciare di non voler partecipare domenica alla cerimonia per la commemorazione della Shoah. «Mi fa male andare al museo dell'Olocausto

— spiega l'inviato del Vaticano — e vedere Pio XII così presentato. Il Pontefice non può essere messo in mezzo a uomini che dovrebbero vergognarsi per quanto compiuto contro gli ebrei. Forse si potrebbe togliere il ritratto o cambiare quel testo».
La foto di Pio XII è esposta nel nuovo museo a Yad Vashem, inaugurato nel 2005.
Una decina di righe racconta che «eletto nel 1939, il Papa mise da parte una lettera contro l'antisemitismo e il razzismo preparata dal suo predecessore. Anche quando i resoconti sulle stragi degli ebrei raggiunsero il Vaticano, non reagì con proteste scritte o verbali. Nel 1942, non si associò alla condanna espressa dagli Alleati per l'uccisione degli ebrei. Quando vennero deportati da Roma ad Auschwitz, Pio XII non intervenne». Gli studiosi del memoriale concludono: «Il suo silenzio e l'assenza di direttive costrinsero i sacerdoti in Europa a decidere personalmente come reagire».
Il Nunzio è «sorpreso per come una lettera privata sia stata pubblicizzata» (il messaggio è stato rivelato dal sito
Ynet). Ripete che, nel contesto in cui è stata messa, la foto di Pio XII «offende la Chiesa cattolica, con tutto quello che è stato fatto per gli ebrei». «Non andare alla cerimonia è una rinuncia dolorosa. La mia assenza non significa mancanza di rispetto per il ricordo e per le vittime di questa tragedia. La mia lettera, e ne avevamo inviata una simile già lo scorso anno, chiedeva un'attenzione al problema. Nella risposta, lo Yad Vashem sostiene che non si può cambiare la verità storica. Ma ai fatti viene data un'interpretazione contraria a molte altre verità storiche».
Dal museo dell'Olocausto fanno notare che «alla cerimonia partecipano tutti i rappresentanti stranieri ed è la prima volta che un inviato decide di boicottarla». «Siamo sconcertati e delusi dalla scelta di non rispettare la memoria dell'Olocausto — scrive la portavoce Iris Rosenberg, nella replica a monsignor Franco —. Questo contraddice il discorso del Papa, durante la sua visita (Giovanni Paolo II è andato al museo nel marzo del 2000, ndr). Ci sembra inconcepibile usare pressioni diplomatiche sulla ricerca storica». Gli studiosi di Yad Vashem chiedono al Vaticano di aprire gli archivi «dell'era di Pio XII per esaminare la questione ed eventualmente ottenere nuove e diverse informazioni da quelle note oggi».
Nella crisi, è intervenuto anche il ministero degli Esteri israeliano: «La cerimonia vuole onorare la memoria delle vittime della Shoah, l'evento più traumatico nella storia del popolo ebraico e tra i più traumatici nella storia dell'umanità. Per quanto riguarda la partecipazione, ciascuno si comporti secondo quello che gli dice la sua coscienza».

Quella di Luigi Accattoli:

CITTA' DEL VATICANO — Sul nuovo incidente con l'ufficialità israeliana le fonti vaticane hanno mantenuto ieri un prudente riserbo, che in via confidenziale viene interpretato come «attesa» degli sviluppi della vicenda e «attenzione, se possibile, a non ingrandirla». Ma la prudenza non vuol dire che l'iniziativa del nunzio Antonio Franco non fosse autorizzata e la questione non sia «ben nota» alla Segreteria di Stato. Negli uffici competenti ricostruiscono con abbondanza di particolari la storia del caso. Quella foto e quella didascalia «non c'erano quando il Museo fu inaugurato nel 2005». È comparsa «qualche tempo dopo» ed è stata segnalata al nunzio precedente, Pietro Sambi, da visitatori cattolici. L'arcivescovo Sambi aveva presentato una «protesta ufficiale» ricevendo a più riprese «risposte dilatorie». Il nuovo nunzio Antonio Franco ha riproposto in maniera «ultimativa» la richiesta di una «modifica» della didascalia — o della rimozione della foto — ponendo il problema della propria presenza alla commemorazione. Lo stesso atteggiamento avevano adottato, lungo l'ultimo anno, i rappresentanti di «diverse conferenze episcopali cattoliche in visita in Terra Santa», che avevano rinunciato a visitare il museo della Shoah a motivo di quella didascalia.
L'incidente non ha nulla a che fare con la mancata riunione della Commissione bilaterale permanente tra Santa Sede e Stato di Israele che era prevista per il 28 marzo e che avrebbe dovuto dare attuazione alla parte economica e giuridica dell'accordo fondamentale del 1993.
Va ricondotto piuttosto all'interminabile disputa sul ruolo di Pio XII in relazione alla Shoah, che si era ravvivata il maggio scorso in occasione della visita di papa Benedetto ad Auschwitz e che ha avuto un «focherello» romano il 24 gennaio scorso quando in Campidoglio fu presentato il libro «I Giusti. Gli eroi sconosciuti dell'Olocausto» dello storico inglese Martin Gilbert. In quell'occasione il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone ebbe ad affermare che lo stesso Pio XII va considerato un «giusto» in quanto «fu seguendo le sue direttive che la Chiesa cattolica come istituzione prese parte all'opera di salvataggio degli ebrei».

Di seguito, il testo completo della didascalia:

«La reazione di Pio XII all'uccisione degli ebrei durante l'Olocausto è una questione controversa. Nel 1933, quando era Segretario di Stato vaticano, si attivò per ottenere un Concordato con il regime tedesco per preservare i diritti della Chiesa in Germania, anche se ciò significò riconoscere il regime razzista nazista.
Quando fu eletto Papa nel 1939, accantonò una lettera contro il razzismo e l'antisemitismo preparata dal suo predecessore. Anche quando notizie sull'uccisione degli ebrei raggiunsero il Vaticano, il Papa non protestò né verbalmente né per iscritto. Nel dicembre 1942, si astenne dal firmare la dichiarazione degli Alleati che condannava lo sterminio degli ebrei. Quando ebrei furono deportati da Roma ad Auschwitz, il Papa non intervenne. Il Papa mantenne una posizione neutrale per tutta la guerra, con l'eccezione degli appelli ai governanti di Ungheria e Slovacchia verso la fine. Il suo silenzio e la mancanza di linee guida costrinsero il clero d'Europa a decidere per proprio conto come reagire».

Scorretta la cronaca di Salvatore Mazza su AVVENIRE, perché non riporta la richiesta di Yad Vashem al Vaticano: l'apertura degli archivi. Solo la possibilità di una ricerca storica basata su tutti i documenti, argomenta la direzione del mausoleo, giustificherebbe una revisione della didascalia.

Scorretto, stando all'elogio che ne fa il quotidiano cattolico, anche il servizio del TG 5 delle 20, che avrebbe tacciato la didascalia dello Yad Vashem di non corrispondenza alla verità, sposando una tesi storica, quella della "piena riabilitazione" di Pio XII, ancora controversa.

Dal CORRIERE, l'intervista di Dino Messina a due storici che esprimono posizioni opposte su Pio XII:

«Il Papa che salvò gli ebrei». «No, fu il Papa del silenzio». La contrapposizione tra Vaticano e Israele sulla figura di Eugenio Pacelli, Pontefice dal 1939 con il nome di Pio XII, riproduce una discussione avviata nel 1963 dal drammaturgo Rolf Hochhuth con il dramma Il vicario e continuata nel 1964 dallo storico Saul Friedländer con il volume Pio XII e il Terzo Reich. Da un lato c'è chi usa l'atteggiamento verso gli ebrei perseguitati da parte di Pio XII per sostenerne la beatificazione. È il caso di Matteo Luigi Napolitano, autore con Andrea Tornielli del libro Il Papa che salvò gli ebrei (Piemme). Dall'altro chi sottolinea le ambiguità del Papa. Lo ha fatto Giovanni Miccoli, docente di storia della Chiesa, nel saggio I dilemmi e i silenzi di Pio XII (Rizzoli).
«Credo che l'approccio di Yad Vashem — esordisce Napolitano — riproduca la posizione dell'ex diplomatico e storico Sergio Minerbi, consulente del museo, che giudica controverso l'atteggiamento di Pio XII. Ciò mi pare strano perché Minerbi è autore di una biografia di Raffaele Cantoni, esponente ebraico impegnato a soccorrere le vittime della Shoah, che quando scoppiarono le polemiche, nel 1964, scrisse un articolo memorabile: si tratti di Pio XII o di Giovanni XXIII, la cosa importante è che hanno salvato degli ebrei». Del resto, continua Napolitano, «l'assistenza di Pio XII agli ebrei e la sua critica del nazismo sono documentate anche da fonti estranee al Vaticano. L'incaricato d'affari inglese presso la Santa Sede, Ivone Kirkpatrick, chiese per esempio all'allora segretario di Stato conto del concordato con il regime nazista. Pacelli rispose: almeno avremo in mano qualcosa quando Hitler violerà i patti. Per non parlare del soccorso agli ebrei perseguitati: gli assegni mandati ai vescovi che chiedevano aiuto, l'ordine alle suore di clausura di aprire i conventi dopo il rastrellamento nazista nel ghetto di Roma. Si dice che papa Pacelli sapeva delle Fosse Ardeatine e non fece niente per fermare il massacro. Non esiste nessuna prova. Si dice poi che il Papa, informato sin dal 1942 da monsignor Giuseppe Burzio sul massacro nei Lager nazisti, non protestò in pubblico con sufficiente vigore. Ma nessuno allora conosceva la portata del genocidio. Non si può giudicare il passato con gli occhi di oggi».
Giovanni Miccoli guarda la figura di Pio XII da una prospettiva diversa: «Premesso che le tesi sul "Papa di Hitler" sono una sciocchezza, bisogna dire che il problema ebraico non era la priorità di papa Pacelli, più preoccupato di non rompere con il Terzo Reich e di tutelare il clero tedesco. È vero poi che tutti i rapporti della Gestapo definiscono Pacelli un nemico, ma non si può giudicare con lo stesso metro la politica degli Alleati, che magari sapevano del massacro e non intervennero subito, con l'atteggiamento del Pontefice, che ha un dovere morale superiore».
Bisogna partire dagli anni Trenta, sostiene Miccoli, e chiedersi «perché l'enciclica contro gli antisemiti già pronta venne messa in un cassetto alla morte di Pio XI. Evidentemente erano prioritari i rapporti con la Germania». Miccoli legge diversamente anche il rastrellamento al ghetto a Roma: «Se la razzia continuerà, disse il cardinale Luigi Maglione all'ambasciatore Ernst von Weizsäcker, il Vaticano sarà costretto a parlare. Evidentemente era forte la volontà di non rompere le relazioni con il Terzo Reich, baluardo contro la Russia comunista. La Santa Sede era poi informata da più parti dei massacri nei Lager nazisti. Pio XII parlò nel Natale 1942 e nel giugno 1943 ma senza pronunciare mai la parola "ebreo". La Gestapo capì benissimo, ma perché il Papa non andò mai oltre la deplorazione e la compassione?».

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